Con l'ultima lacrima dell'Odissea, quella per il cane morente, Ulisse ritrova la sua dimensione umana. Così è anche per noi, eroi senza Mito della nostra personale avventura. Solo l'amore per le nostre piccole cose di tutti i giorni può restituirci a quelle origini che tutti ci portiamo dentro.
Una sorta di omaggio ai piccoli pensieri emotivi della nostra vita segreta, ai piccoli sogni di un’umanità minore, che sempre sogni sono, alle nostre ambizioni, alle paure e alle amarezze che ci hanno umanamente fatto soffrire per riscoprire che, alla fine della nostra personale Odissea e delle mille imprese della vita di tutti i giorni, siamo comunque rimasti ciò che eravamo all’origine. Un pensiero semplice, da uomo comune, alle cose comuni per cui soffriamo e speriamo e per le quali spesso piangiamo quelle sottili e invisibili lacrime che tanto mi paiono indispensabili a voler scrivere “d’amore”.
La poesia di Augusto M. Funari è poesia d’amore, d’amore indefinito e curioso, nostalgico e trasfigurato. È poesia che eleva un canto permeato di rammarichi, di nostalgia e, a volte, della stanca vitalità di chi ha tanto da ricordare, da rimpiangere e ancora da sognare.
In questi scritti l’Autore non smette mai di guardarsi indietro, di trovare nel passato la strada da percorrere e la forza di comprendere le ragioni della sua inquietudine e del suo perenne rammarico per le cose che non sono ma che sarebbero potute essere.
Vi si ritrova, martellante e sublimata, la presenza trasfigurata di una donna che non necessariamente è stata incontrata. Si percepisce l’amore verso le piccole cose di tutti i giorni, quelle che ci aiutano a vivere, ma, soprattutto, si percepisce il grande amore per i luoghi dell’infanzia, ancora così presenti nella vita di un adulto che avrebbe voluto rimanere bambino.
Una sorta di omaggio ai piccoli pensieri emotivi della nostra vita segreta, ai piccoli sogni di un’umanità minore, che sempre sogni sono, alle nostre ambizioni, alle paure e alle amarezze che ci hanno umanamente fatto soffrire per riscoprire che, alla fine della nostra personale Odissea e delle mille imprese della vita di tutti i giorni, siamo comunque rimasti ciò che eravamo all’origine. Un pensiero semplice, da uomo comune, alle cose comuni per cui soffriamo e speriamo e per le quali spesso piangiamo quelle sottili e invisibili lacrime che tanto mi paiono indispensabili a voler scrivere “d’amore”.
La poesia di Augusto M. Funari è poesia d’amore, d’amore indefinito e curioso, nostalgico e trasfigurato. È poesia che eleva un canto permeato di rammarichi, di nostalgia e, a volte, della stanca vitalità di chi ha tanto da ricordare, da rimpiangere e ancora da sognare.
In questi scritti l’Autore non smette mai di guardarsi indietro, di trovare nel passato la strada da percorrere e la forza di comprendere le ragioni della sua inquietudine e del suo perenne rammarico per le cose che non sono ma che sarebbero potute essere.
Vi si ritrova, martellante e sublimata, la presenza trasfigurata di una donna che non necessariamente è stata incontrata. Si percepisce l’amore verso le piccole cose di tutti i giorni, quelle che ci aiutano a vivere, ma, soprattutto, si percepisce il grande amore per i luoghi dell’infanzia, ancora così presenti nella vita di un adulto che avrebbe voluto rimanere bambino.