L'unico mondo che abbiamo è l'ultima raccolta di scritti inediti di Wendell Berry. Qui Berry passa in rassegna i temi caratteristici della sua opera e i problemi principali del nostro tempo, forse gli unici di cui valga davvero la pena parlare: il rapporto tra economia ed ecologia, il “commercio della violenza” globale che distrugge comunità e terra nel nome del profitto, la relazione tra salute, cibo e agricoltura e l’assoluta necessità d’iniziare a considerare come un “costo” la sistematica distruzione dell’unico mondo che abbiamo e delle sue culture locali e localmente adatte. In questi dieci saggi, il "filosofo contadino”, il “profeta dell’America rurale” come recentemente ribattezzato dal «New York Times», si conferma intellettuale autenticamente dissidente rispetto al pensiero e alle etichette dominanti, compresa quella, da lui rifiutata, di "ambientalista". In questi scritti, infatti, Berry esorta i lettori a non confidare nell'energia rinnovabile, ma nella nostra capacità di consumare meno energia; a sostituire lo standard industriale – più profitto, più tecnologia – con lo standard di salute ecologica – più responsabilità, più cura – per proteggere la sola fonte dell’economia umana, che è sempre l’ecosistema nel quale viviamo. Invita il lettore a diffidare della scienza delle corporation, libera di inventare cause e liberata dalla responsabilità degli effetti; ad abbandonare l’economia intesa come "governo del denaro" e ad abbracciare l’economia come “governo della casa”: obbligarla ad operare come un buon vicino delle comunità naturali e umane, poiché sul lungo termine solo la ricchezza delle une sarà la ricchezza delle altre.