Con il mio primo libro Vivere è ho preso coscienza che una vocina mi stava suggerendo qualche cosa che avevo dentro ma che, per qualche ragione, non era ancora uscita. Allora avevo cercato di parafrasare la mia vita.
Con il mio secondo libro Destinazione Purgatorio quella vocina ha cercato di farmi evolvere spingendomi ad analizzare la mia vita ed analizzarla asetticamente lasciandomi giudicare da chi mi leggeva.
Con questo terzo libro L’uomo che parlava alla ringhiere la vocina si è rivelata. Tra il reale e il fantastico cerco di raccontarvi il rapporto tra un uomo “Gigi” e la sua testa, il suo cervello “Ughetto” che cercano una simbiosi possibile ma da costruire attraverso un confronto continuo. Gigi teme che la vita banale e atrofizzata dalla consuetudine spinga il suo cervello ad abbandonarlo per sempre conducendolo alla pazzia e riducendolo a parlare con le ringhiere.
Gigi, allora, trova una strada e la percorre. È quella della genialità, dell’ironia applicata a tutte le esperienze belle o brutte della vita. Diventa un “serial comics” un comico seriale per stupire la propria testa, il proprio cervello che, incuriosito e attratto dalla comicità delle situazioni, finisce per attaccarsi al suo Gigi, all’uomo. La mente è attratta dalla vita magica alla quale la conduce l’uomo. Ne è talmente attratta che si dimentica la sua finitezza. È in fondo un disperato appello all’infinito per combattere la propria finitezza di uomo quella che induce Gigi, quella che spinge ognuno di noi a procrastinare, a rimandare il nostro ultimo momento, il distacco tra noi e la nostra mente, tra noi e il nostro spirito. Gigi è l’illusionista, il prestigiatore, il jolly capace con arguzia e genialità di tenere attaccato alla vita Ughetto, il suo cervello stimolandolo costantemente a combattere il male, la caducità della vita, la noia, la banalità che appiattisce, che rende tutto uguale che, in una parola, conduce al nulla più assoluto: alla morte. Gigi è l’artista che trasforma la propria esistenza in una fantastica opera d’arte. Lui ci ha messo la vita, io la faccia.
Con il mio secondo libro Destinazione Purgatorio quella vocina ha cercato di farmi evolvere spingendomi ad analizzare la mia vita ed analizzarla asetticamente lasciandomi giudicare da chi mi leggeva.
Con questo terzo libro L’uomo che parlava alla ringhiere la vocina si è rivelata. Tra il reale e il fantastico cerco di raccontarvi il rapporto tra un uomo “Gigi” e la sua testa, il suo cervello “Ughetto” che cercano una simbiosi possibile ma da costruire attraverso un confronto continuo. Gigi teme che la vita banale e atrofizzata dalla consuetudine spinga il suo cervello ad abbandonarlo per sempre conducendolo alla pazzia e riducendolo a parlare con le ringhiere.
Gigi, allora, trova una strada e la percorre. È quella della genialità, dell’ironia applicata a tutte le esperienze belle o brutte della vita. Diventa un “serial comics” un comico seriale per stupire la propria testa, il proprio cervello che, incuriosito e attratto dalla comicità delle situazioni, finisce per attaccarsi al suo Gigi, all’uomo. La mente è attratta dalla vita magica alla quale la conduce l’uomo. Ne è talmente attratta che si dimentica la sua finitezza. È in fondo un disperato appello all’infinito per combattere la propria finitezza di uomo quella che induce Gigi, quella che spinge ognuno di noi a procrastinare, a rimandare il nostro ultimo momento, il distacco tra noi e la nostra mente, tra noi e il nostro spirito. Gigi è l’illusionista, il prestigiatore, il jolly capace con arguzia e genialità di tenere attaccato alla vita Ughetto, il suo cervello stimolandolo costantemente a combattere il male, la caducità della vita, la noia, la banalità che appiattisce, che rende tutto uguale che, in una parola, conduce al nulla più assoluto: alla morte. Gigi è l’artista che trasforma la propria esistenza in una fantastica opera d’arte. Lui ci ha messo la vita, io la faccia.