Nel 1628 il giurista catanese Mario Cutelli venne chiamato a svolgere una sorta di inchiesta che aveva come fine ultimo il reclutamento di esponenti dell’élite siciliana da coinvolgere nella politica del viceré Olivares. Ma su quale tipologia nobiliare bisognava contare per la realizzazione di tale progetto? Di certo non sull’antica aristocrazia, tutta presa dalla difesa dei propri privilegi, e neanche sul nuovo baronaggio di origine mercantile e venale. I nuovi dirigenti del Regno di Sicilia dovevano invece provenire, a detta di Cutelli, dalle famiglie nobili delle città siciliane: gli esponenti di queste ultime avrebbero dovuto lasciare ad altri gli affari economici per divenire funzionari regi. Questi i temi delle Vindiciae siculae nobilitatis, libello polemico inedito sulle famiglie nobili siciliane, scritto attorno al 1640 e pubblicato in appendice, del quale l’autrice del saggio introduttivo, Valentina Vigiano, ricostruisce il ruolo svolto all’interno della lotta politica di quegli anni nel Regno di Sicilia, assieme alle modalità con cui l’idea di nobiltà veniva usata, fra Cinque e Seicento, come strumento per definire chi potesse affiancare i rappresentanti della Corona spagnola nel governo del Regnum.