Il termine «xenoglossia» venne proposto dal professore Richet allo scopo di distinguere in modo preciso la «medianità poliglotta» propriamente detta, in cui i mediums parlano o scrivono in lingue da essi totalmente ignorate, e talora ignorate da tutti i presenti, dai casi affini, ma radicalmente diversi, di «glossolalia», in cui i soggetti sonnambolici parlano o scrivono in pseudo-lingue inesistenti, elaborate nei recessi delle loro subcoscienze: pseudo-lingue che qualche volta risultano organiche, in quanto sono rette da regole grammaticali. Non è il caso di occuparci di questi ultimi fenomeni, i quali sono d'ordine sonnambolico-ipnotico, e non hanno nulla di comune con la «medianità poliglotta», così come non hanno nulla di comune con le manifestazioni metapsichiche in genere, per quanto accada che incidenti di «glossolalia» vengano talora a intercalarsi in genuine manifestazioni supernormali; ciò che non dovrebbe sorprendere, giacché le interferenze subcoscienti non possono evitarsi in qualsiasi branca della metapsichica, e ciò fino a quando non siano meglio conosciute le leggi psico-fisiche che differenziano gli stati medianici da quelli sonnambolici. Dal punto di vista teorico, la «medianità poliglotta» risulta una delle manifestazioni più importanti della casistica metapsichica, giacché per essa vengono eliminate di un colpo tutte le ipotesi a disposizione di chi volesse provarsi a darne ragione senza dipartirsi dai poteri supernormali inerenti alla subcoscienza umana; con la conseguenza che l'interpretazione dei fatti in senso spiritualista s'impone questa volta in guisa razionalmente inevitabile; vale a dire che per opera dei fenomeni di «xenoglossia» deve ritenersi provato l'intervento nelle esperienze medianiche di entità spirituali estrinseche al medium ed ai presenti. Non ignoro che i propugnatori ad ogni costo dell'origine subcosciente di tutta la fenomenologia metapsichica, non pervenendo a spiegare le manifestazioni in esame con le ipotesi di cui dispongono, ne formularono timidamente un'altra, che si denomina la «memoria ancestrale», secondo la quale i mediums sarebbero in grado di conversare in una lingua totalmente ignorata in quanto qualcuno dei loro antenati avrebbe appartenuto a quel popolo di cui essi parlano la lingua; nel qual caso dovrebbe presumersi che le condizioni medianiche facciano scaturire dalle stratificazioni di una ipotetica memoria ancestrale subcosciente, la conoscenza plenaria della lingua parlata dall'antenato del medium.Questo testo, nella sua completezza, offre al lettore tutti gli elementi necessari per uno studio approfondito della materia trattata.