Michelstaedter al futuro è il secondo atto della stessa azione critica iniziata un anno fa, quando l’autrice ha presentato, nel suo primo volume michelstaedteriano, la lettura di persuasione e rettorica in termini di drammatica compresenza di identità e molteplicità. Proiettando Michelstaedter nel futuro, il nuovo libro tenta una possibile conciliazione di quegli inconciliabili, suggerendo di far maturare la persuasione, lasciata dal pensatore italiano nel mitico e primitivo regno del mare, sulle sponde della storia umana: solo qui quell’ideale esistenziale si lascia fecondare da temi e prospettive impensate. Scrivere la storia di Michelstaedter al futuro ha significato principalmente verificare i suoi “fermenti” lievitati nell’opera di chi direttamente l’ha conosciuto e si è mantenuto fedele al suo messaggio (Vladimiro Arangio-Ruiz e Gaetano Chiavacci) e ipotizzare futuribili incontri con autori e temi del pensiero contemporaneo: la critica rivisitazione dell’umanesimo e dei “tempi di povertà” con Martin Heidegger; la polemica contro la cultura dell’ornamento con Adolf Loos; la lettura della persuasione all’interno del paradigma della vita esercitata con Peter Sloterdijk, che aiuta a far luce sulla natura atletica e ascetica di Michelstaedter; infine il processo di maturazione storica suggerito dalla teoria della conoscenza di Walter Benjamin. Il pensiero del futuro qui evocato non si esaurisce in un’opera di ricostruzione storiografica. Per raccogliere l’invito michelstaedteriano, per venir a ferri corti con il futuro, occorre determinare teoreticamente questo tempo inquieto: esso, infatti, sa redimere e condannare e risulta perciò gravato da una radicale ambivalenza. Tempo della modernità, epoca neolatrica per definizione, il futuro è due volte segnato dauna dannazione: quella benefica dell’azione spregiudicata e irriverente da cui nasce il nuovo, e quella malefica, filopsychica e cariadrica della fame di novità che mai si sazia. Lucida perciò la proposta michelstaedteriana di salvare la vita dalla ripetizione del passato e dalla perdizione del futuro, insediandola nell’assoluto presente della rilkiana e benjaminiana “ora”, che parla la lingua profana della felicità.