Breve, forte e ardente è la vicenda di Egon Schiele catturata in queste pagine. L'Europa del primo Novecento, gonfia di tensioni represse, sta per collassare, e la crisi della società è il riflesso della crisi individuale: ognuno è in bilico su un abisso di mediocre passività. Il perbenismo asfissia la fantasia, l'immaginazione è lasciata preda della più cinica ottusità. Lo Schiele di Gaetano Cinque, descritto lungo tutta la propria parabola artistica rivoluzionaria e scandalosa, rifugge le stantie formule accademiche, distanti dall'uomo. Arriva a consumare se stesso verso un ideale di arte che non si distacchi mai dalla sua unica vera fonte di ispirazione, la vita, piena, cruda, feroce e languida di eros, forza primigenia che ogni cosa domina e a cui ogni spirito deve cedere. I suoi quadri grondano di sferzante desiderio e di inesprimibile tragicità. Ma questa figura di Schiele non è ben definibile se non messa in stretto rapporto con quelle che della sua ispirazione sono imprescindibili muse, un po' amanti, un po' amiche, un po' tiranne e un po' schiave. La torbida sorella Gerti, le tante donne di strada, la celebre Wally che già aveva conquistato il grande maestro Klimt, e poi l'enigmatica Edith, che diviene sua moglie e che porta all'estremo il suo conflitto interiore tra una libertà assoluta a cui non può abdicare e una armonia borghese che può dargli stabilità e protezione. Una ambiziosa ricostruzione letteraria, che privilegia non tanto il puro dato biografico bensì la sfumatura interpretativa più intima e sfuggente della personalità dell'immortale artista austriaco.
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