Più si va avanti nella lettura e meno sappiamo di Marcuse. Molte lacune si adunano nella mente del lettore, come bicchieri sporchi che nessuno lava in certi acquai di certi appartamenti universitari. In questo che non è un romanzo e non è un saggio, in bilico tra récit, pamphlet e agiografia, Stepor Marqucci ci riporta al mito novecentesco per eccellenza, la «nostalgia del futuro», e ci propone una discesa nell'archeologia del presente, di un tempo, e di un tempio, in rovina. Uno spettro si aggira per queste pagine.