L’avvento del «Metodo» teorizzato ed applicato Stanislavskij, padre della regia e maestro russo, nel mondo dello spettacolo contemporaneo, nel teatro e nel cinema, ha portato una radicale l’evoluzione culturale che si estende ben oltre i confini della recitazione in senso stretto. Il «metodo» è un fenomeno assolutamente recente, risalente all’inizio del Novecento, quando Kostantin S. Stanislavskij comincia a pensare al teatro come una forma precipua di mimesi della realtà: sulle assi del palcoscenico l’attore deve interpretare la parte inseguendo la verità. Una verità così personale da essere definita sincera: una vera e propria rivoluzione culturale. Sin dall’antichità, la messinscena nella via pratica era curata direttamente da poeti e drammaturghi ma, a partire dalle intuizioni di Stanislavskij, l’idea di teatro e di pièce, di concerto ai grandi mutamenti del Novecento, sono rimesse in discussione: il metodo prima, e il sistema delle «azioni fisiche» poi, hanno segnato la cortina d'incominciamento dell’opera d’arte teatrale odierna. Ampi margini di applicazione sono stati riscontrati nel particolare della seconda edizione dello spettacolo Otello (1930-33). Il protagonista, invero, solo adesso è considerato alla stregua di un modello sposo novello che può servirsi, oltre che della vita anteriore - o sottotesto - della bentrovata fisicità. Resta fermo sempre il convincimento che «la vita fisica del personaggio non sia scindibile da quella spirituale». Nell'analisi delle azioni fisiche come strumento di comunicazione, attraverso le impostazioni innovative novecentesche, da Mejerchol'd a M. Čechov, passando per Strasberg, Grotowski e il brindisino Barba, «l'attore creativo» potrà essere sempre collocato artisticamente, in ogni luogo, al tempo presente e, allo stesso modo, fuori dal tempo.