Un diario breve, questo di Abreu, che ha osato sintetizzare la storia impossibile dell’umanità parlante che forse minacciata da un qualche incombente pericolo di perdere la parola – le parole che ci dicono, ma anche quelle che se proprio non ci dicono, continuano a dirsi perché qualcuno possa, prima o poi, riprendere la via crucis della costruzione di questo telaio verbale che ci tiene tutti attaccati; e lo fa avvertendone la vertigine dentro alla propria esistenza e travasandola – distillandone l’essenziale – in queste veloci note che riguardano la sua storia intima proiettata sul diagramma di una storia che è come “una giostra di parole che vuoi mettere in ordine”. O almeno una giostra di parole che l’Autrice ha qui cominciato a mettere in ordine. Poeticamente. (Vito A. D’Armento)