Nel testo si riflette sui rapporti tra architetto e comunità al fine di superare una dicotomia molto profonda tra linguaggio disciplinare e necessità e desideri degli abitanti.I progettisti operano troppo frequentemente senza relazionarsi con coloro i quali utilizzeranno i manufatti, astraendo e uniformando le richieste e anche quando si attuano processi decisionali partecipati si tende a ricondurre la creatività dei cittadini all’interno di logiche che uniformano esigenze e risposte.Una grande potenzialità è invece presente nell’azione diretta degli abitanti. L’adattamento dei luoghi è infatti una pratica connessa strettamente alla specie umana e nel tempo le culture locali hanno mostrato una capacità tecnica nel risolvere i problemi e nel configurare soluzioni ambientalmente e socialmente ottimali. Una errata interpretazione delle deleghe date agli specialisti del settore sembra avere espropriato le comunità di una capacità che le è propria.Recuperare la relazione interrotta, riportare l’operato del progettista all’interno delle comunità, riconoscere la capacità dell’azione diretta degli abitanti faciliterebbe il miglioramento delle condizioni insediative, la riduzione del “peso” ambientale, la ricomposizione di comunità equilibrate con luoghi e risorse.