Gregorio Viglialoro è il vincitore del Premio Tre Valli 1990.Nella lirica Passa lu tempu e signa, che dà il titolo alla silloge, è condensata tutta la sua vis poetica, la dolente constatazione della ineluttabile sorte assegnata alla Comunità calabrese, ma anche il respiro di futuro fatto di responsabile impegno e soggettivo viversi per la propria crescita, non solo culturale.La irrinunciabile aspirazione a raggiungere livelli di convivenza e di lineare quotidianità fuori dall’arranco stereotipato a cui è sottoposta con una ingenerosa bardatura di asocialità che dà tanto da pensare.La silloge è il punto focale di un dire denunciando il cui sviluppo nel prosieguo raggiunge livelli di lirica espressione non comune, profondità argomentativa e costrutti poetici di ampio respiro.Il verso libero, una quasi eccezione rispetto all’uso della poesia vernacola, assurge a schema anch’esso coerente con l’assunto di fondo che è quello della constatazione-denuncia per riacquistare il giusto ruolo non occultando le scorie di un vivere, madenunciandole come allertazione alla giusta vigilanza agendo non dando fondo all’usuale eloquio forbito fatto di niente.Un dire pertanto non solo perché altri senta, ma per un intimo bisogno compartecipe di condivisione della sofferenza per quanto di autolesionistico è dato rilevare nei quotidiani comportamenti.Non gli altri, ma il Poeta con gli altri in un unicum osmotico capace di invertire un percorso asperrimo.Per un rifiuto di continua rimarcatura delle asperità caratteriali, vieti parametri di valutazione acritici perché poggianti su una riserva mentale ottusa, e nella pilatesca acquiescenza di tutto ciò che viene imposto come benevola dazione che sa tanto di commiserato atto elemosinale.Se altri che può non dà qual è la pretesa del Calabrese? L’assistenzialismo fagocitatore, il culturame a traino, l’essere cultore riflesso di altrui fulgore?Il poetare di Viglialoro, sorretto da una sana e radicata cultura di base (la calabresità fatta scoglio inattaccabile agli acidi della cultura imposta), contesta tale assunto annichilente e fustiga, autofustigando, il nostro non essere.Il suo è un bighellonare tra i temi roventi del vivere e dell’essere senza sterili ammiccamenti alla luce di un decoro esistenziale e culturale che subisce il gravame di responsabili disimpegni sia del Potere e sia, per una sua parte non trascurabile, del Calabrese che, invece di inforcare gli strumenti del proprio essere sanguignocultore di inestimabili valori fondanti, si rifuggia nel vittimismopiagnone.Il Poeta, con la sua sensibilità fatta vincastro sibillante, carica di autoironia la riproposizione di quelli eufemistici sprazzi di quotidianità in cui si assomma al grigiore esistenziale il disimpegno per una condizione ritenuta, ma dal Poeta contestata, fatale irrimediabilità.Se il tutto evolve in un antropomorfismo anche culturale il Poeta chiede e si chiede quanta parte è dovuta allo scorrere del tempo e quanta all’ignavia del Calabrese che ozia culturalmente attendendo che altri faccia, crei, innovi. Delega in perdita.Versi cristallini e profondi quelli di Viglialoro. Dolenti e apparentemente senza speranza “Lu rizzunti cotidianu è cunsumatu”…„Sti ricordi „mbècchianu/ cu‟ nui sempi cchiù suli/ e mattuna refrattari a „stu focu/ chi sbampa amaru/ e dassa cìnnari di speranza/ cu‟ pocu caluri mpresciatu/ e tanta voglia di fruttusu futuru”. .. /e lu decoru è vesta pe li missi cantati/” (il culto per i lustrini dell’apparire invece che dell’essere) “…Ognunu si perdi a lu tempu/ scanuscendu li diricati/” (l’ozio modaiolo e scimmiottesco dimentico delle proprie radici riesumati al bisogno solo per darsi un tono)… E se “l‟abbandunu signa li porti/ e li cuscenzi“ (la condizione infame) non meno grave è che non solo,per altrui volere “crisci la distanza a lu rizzunti” ma anche “lu passu‟ mpernali” per un radicato autolesionismo senza appunto aggettivazioni.Eppure, il poetare di Viglialoro si innerva in un’alba radiosa in cui il sole “canta lu jornu la nova speranza”e impone azione responsabile e diuturna, vigilanza attenta e pedaggio ragionevole.Vigoroso il richiamo all’azione “Cuzzamu u parlarizzu e cu‟ decoru/facimu ognunu a parti e cusìsìa” poiché è “lu tempu lu veru patruni” e noi solo comparse destinate aviverlo e a soffrirlo.Attilio PERRI