“… ciao, sono io, non posso stare troppo al telefono: vuoi la mia pasta madre? Sì o no? Fai già un corso di pilates?!? E che c’entra… scusa devo riattaccare”. Se dopo l’euforia dei primi pani fatti in casa, anche voi vi siete ridotti a telefonate così, non sentitevi in colpa: prima o poi capita a tutti. Ritrovarsi incatenati a quell’embrione di mollica è un attimo, ma per sbarazzarsene ci vuole una vita (e parecchie sedute con l’analista). Perché dentro la pasta madre – ve ne eravate accorti? - c’è vostra madre. Oh, sì, proprio la vostra cara mammina. È questa la conclusione a cui arriva Claudia Riconda in questo suo nuovo tragicomico libretto, in cui descrive il rapporto di morbosa dipendenza che si crea con la pasta madre, l’essere molliccio chiuso nel barattolo in frigorifero all’apparenza così innocuo ma che nel tempo si rivelerà un dispotico dittatore che vi risucchierà tutte le energie. Arrivare a liberarsene, cercando di sbolognarlo a qualche amico o su qualche piattaforma digitale, non sarà affatto semplice, e porterà a un inevitabile ultimatum: o tu o io. Perché poi è così che vanno le cose: il pane fatto in casa è bellissimo, buonissimo, sanissimo, purché a farlo sia sempre qualcun altro.