La pasta ripiena nel Centro e Sud Italia mantiene prevalentemente la denominazione ravioli oppure assume nelle varie zone e micro zone nomi locali dialettali, come vedremo; c’è pure un utilizzo diffuso del nome “agnolotti” e “tortelli”, e un uso minoritario delle denominazioni “cappelletti”, “cappellacci”.
Quanto al ripieno, potremmo affermare che il prevalente utilizzo di ricotta, erbe e aromi, ne giustifica pienamente l’affiliazione al ramo ravioli. Raro l’impiego di carne di varia origine nel ripieno, più frequente nel sugo, prevalentemente di agnello. Molto diffusa, nelle varie regioni meridionali e centrali, la versione dei ravioli dolci alla ricotta fritti o al forno. In generale possiamo affermare che la diffusione delle paste ripiene nel centro-sud Italia non ha la stessa ampiezza e capillarità del Nord del paese, a denotare la preferenza per la pasta fresca non ripiena, presentata in innumerevoli soluzioni; più si scende verso sud, più aumentano i formati di pasta fresca e diminuiscono quelli di pasta ripiena.
Per indagarne l’origine, è necessario in ogni caso rifarsi alla storia del raviolo, che ben prima degli agnolotti - diffusi soltanto in alcune regioni – servì a designare un certo tipo di pasta ripiena. Pare che la parola derivi dal ligure “rave” cioè frana “dalla maniera di allestire il ripieno che viene frantumato”; la seconda, più azzardata, è che il nome ravioli derivi da “raviêu” cioè smerlo “dal modo di tagliare la pasta con gli orli smerlati” proprio come gli agnolotti. La terza è che il nome raviolo derivi da “ravagliolo” , ossia “raviggiolo”, formaggio molto simile alla ricotta che veniva usato per farcire i ravioli. D’altra parte questa ipotesi potrebbe essere confermata dal fatto che in molte ricette antiche i ravioli non erano avvolti nella pasta: le palline di ricotta, uovo, eventualmente pane raffermo, erbe e altro erano bollite nel brodo e mangiate asciutte o nel brodo di cottura, come una sorta di knederli. In generale in riferimento all’origine ligure del raviolo, le prime citazioni della pasta ripiena ligure si hanno in un contratto del 1178, conservato nell'archivio di stato di Savona che cita '' Si affitta una vigna per 29anni ad una famiglia che oltre al prezzo, deve ogni anno dare un pasto durante la vendemmia a tre persone comprendente, vino, raviolo e carne con pane ''. Pare che il raviolo citato fosse nato nella locanda della famiglia Raviolo, dalla quale il nome, che si trovava presso il pedaggio doganale, situato sulla strada che univa Genova alla Valpadana nel Marchesato di Gavi, passato poi a Genova. Inizialmente farcito con uova, erbe e formaggio, successivamente aggiunta la carne. La pasta ripiena viene citata alla fine del secolo nelle cronache di Fra Salimbene da Parma come
''raviolus'' e la ritroviamo ancora nel 1242 a Cremona definita come
''rabule''. Senz'altro sappiamo che esisteva nel Medioevo verso la metà del 300, perché i ravioli li nomina il Boccaccio nella novella di Calandrino (Decamerone VII, 3), prima di lui alcuni autori nel secolo XIV lo usano in alternativa a “Tortelli”, ampiamente documentati e descritti appaiono poi nell’opera del Maestro Martino da Como nel XV secolo. Il raviolo viene definitivamente ufficializzato dall'Accademia della Crusca nel '700 chiamandolo ''raviuolo''. Lo stesso Artusi, ancora a fine secolo XIX, ci dice che i “ravioli ”non si fanno di carne e non si involgono nella sfoglia”. Cita come unici “ravioli” avvolti nella sfoglia proprio quelli liguri.
Quanto al ripieno, potremmo affermare che il prevalente utilizzo di ricotta, erbe e aromi, ne giustifica pienamente l’affiliazione al ramo ravioli. Raro l’impiego di carne di varia origine nel ripieno, più frequente nel sugo, prevalentemente di agnello. Molto diffusa, nelle varie regioni meridionali e centrali, la versione dei ravioli dolci alla ricotta fritti o al forno. In generale possiamo affermare che la diffusione delle paste ripiene nel centro-sud Italia non ha la stessa ampiezza e capillarità del Nord del paese, a denotare la preferenza per la pasta fresca non ripiena, presentata in innumerevoli soluzioni; più si scende verso sud, più aumentano i formati di pasta fresca e diminuiscono quelli di pasta ripiena.
Per indagarne l’origine, è necessario in ogni caso rifarsi alla storia del raviolo, che ben prima degli agnolotti - diffusi soltanto in alcune regioni – servì a designare un certo tipo di pasta ripiena. Pare che la parola derivi dal ligure “rave” cioè frana “dalla maniera di allestire il ripieno che viene frantumato”; la seconda, più azzardata, è che il nome ravioli derivi da “raviêu” cioè smerlo “dal modo di tagliare la pasta con gli orli smerlati” proprio come gli agnolotti. La terza è che il nome raviolo derivi da “ravagliolo” , ossia “raviggiolo”, formaggio molto simile alla ricotta che veniva usato per farcire i ravioli. D’altra parte questa ipotesi potrebbe essere confermata dal fatto che in molte ricette antiche i ravioli non erano avvolti nella pasta: le palline di ricotta, uovo, eventualmente pane raffermo, erbe e altro erano bollite nel brodo e mangiate asciutte o nel brodo di cottura, come una sorta di knederli. In generale in riferimento all’origine ligure del raviolo, le prime citazioni della pasta ripiena ligure si hanno in un contratto del 1178, conservato nell'archivio di stato di Savona che cita '' Si affitta una vigna per 29anni ad una famiglia che oltre al prezzo, deve ogni anno dare un pasto durante la vendemmia a tre persone comprendente, vino, raviolo e carne con pane ''. Pare che il raviolo citato fosse nato nella locanda della famiglia Raviolo, dalla quale il nome, che si trovava presso il pedaggio doganale, situato sulla strada che univa Genova alla Valpadana nel Marchesato di Gavi, passato poi a Genova. Inizialmente farcito con uova, erbe e formaggio, successivamente aggiunta la carne. La pasta ripiena viene citata alla fine del secolo nelle cronache di Fra Salimbene da Parma come
''raviolus'' e la ritroviamo ancora nel 1242 a Cremona definita come
''rabule''. Senz'altro sappiamo che esisteva nel Medioevo verso la metà del 300, perché i ravioli li nomina il Boccaccio nella novella di Calandrino (Decamerone VII, 3), prima di lui alcuni autori nel secolo XIV lo usano in alternativa a “Tortelli”, ampiamente documentati e descritti appaiono poi nell’opera del Maestro Martino da Como nel XV secolo. Il raviolo viene definitivamente ufficializzato dall'Accademia della Crusca nel '700 chiamandolo ''raviuolo''. Lo stesso Artusi, ancora a fine secolo XIX, ci dice che i “ravioli ”non si fanno di carne e non si involgono nella sfoglia”. Cita come unici “ravioli” avvolti nella sfoglia proprio quelli liguri.