«Ore cinque del mattino: state viaggiando in autostrada con la vostra macchina. Nessun altro autista percorre la carreggiata, con voi solo la surreale nebbia bluastra dell’alba che limita la vista a qualche metro più avanti.
Improvvisamente il veicolo si ferma, e così anche il tempo. Il motore è andato, e ci siete soltanto voi con le mani sul volante. Per qualche motivo sapete che l’orologio non supererà mai le 05:00; il telefono non ha campo, siete incastrati lì senza nessuno che possa soccorrevi, probabilmente in eterno. Scendete dalla macchina e vi guardate attorno, ma tutto quello che vedete è il bianco nulla. Volgete lo sguardo alla vettura, poi alla strada, poi a qualcosa che non trovate. Probabilmente l’ansia sta corrodendo il vostro stomaco, poiché spera che una forma di vita senziente si materializzi dalla nebbia, ma allo stesso tempo il cuore si accartoccia e prega che non ci sia alcun essere vivo nel raggio di chilometri, dato che la paura gorgogliante in fondo alle viscere potrebbe causarvi facilmente un infarto. “Forse, se insistessi, la macchina potrebbe ripartire”. “Forse, se camminassi qualche metro più avanti, troverei una stazione di servizio e potrei chiamare un carro attrezzi”. “Forse, se aspettassi, qualcuno verrebbe a salvarmi”. Quante possibilità.
Siete voi, l’automobile, e i vostri contrastanti pensieri generati da una condizione atmosferica.
Chiamatela nebbia, se volete. Io lo chiamo dubbio».
Improvvisamente il veicolo si ferma, e così anche il tempo. Il motore è andato, e ci siete soltanto voi con le mani sul volante. Per qualche motivo sapete che l’orologio non supererà mai le 05:00; il telefono non ha campo, siete incastrati lì senza nessuno che possa soccorrevi, probabilmente in eterno. Scendete dalla macchina e vi guardate attorno, ma tutto quello che vedete è il bianco nulla. Volgete lo sguardo alla vettura, poi alla strada, poi a qualcosa che non trovate. Probabilmente l’ansia sta corrodendo il vostro stomaco, poiché spera che una forma di vita senziente si materializzi dalla nebbia, ma allo stesso tempo il cuore si accartoccia e prega che non ci sia alcun essere vivo nel raggio di chilometri, dato che la paura gorgogliante in fondo alle viscere potrebbe causarvi facilmente un infarto. “Forse, se insistessi, la macchina potrebbe ripartire”. “Forse, se camminassi qualche metro più avanti, troverei una stazione di servizio e potrei chiamare un carro attrezzi”. “Forse, se aspettassi, qualcuno verrebbe a salvarmi”. Quante possibilità.
Siete voi, l’automobile, e i vostri contrastanti pensieri generati da una condizione atmosferica.
Chiamatela nebbia, se volete. Io lo chiamo dubbio».