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Il pomeriggio del 24 luglio 1943 gli italiani ciondolavano tranquilli, sonnolenti, pigri sotto il caldo sole. Solo in pochi sapevano della riunione del Gran Consiglio, pochissimi quello che stava per accadere. Ma quei pochissimi, assopiti ed eccitati allo stesso tempo, sparsero la voce per le vie e le botteghe romane e un piccolo pubblico si riunì dietro Palazzo Venezia, spalmato sui muri infuocati come tante lucertole al sole, ad osservare le auto che portavano i gerarchi a quella importante riunione. Tra quelle auto si poteva riconoscere quella grigia dell’uomo che andava di fretta,…mehr

Produktbeschreibung
Il pomeriggio del 24 luglio 1943 gli italiani ciondolavano tranquilli, sonnolenti, pigri sotto il caldo sole. Solo in pochi sapevano della riunione del Gran Consiglio, pochissimi quello che stava per accadere. Ma quei pochissimi, assopiti ed eccitati allo stesso tempo, sparsero la voce per le vie e le botteghe romane e un piccolo pubblico si riunì dietro Palazzo Venezia, spalmato sui muri infuocati come tante lucertole al sole, ad osservare le auto che portavano i gerarchi a quella importante riunione. Tra quelle auto si poteva riconoscere quella grigia dell’uomo che andava di fretta, parcheggiata sopra un marciapiede di via Astalli. Davanti al grande portone del palazzo, le solite sentinelle sorvegliavano la soglia, cercando di tanto in tanto di nascondere il sole col palmo della mano. Verso la sera, mentre il sole cominciava ad allungare le ombre e i proprietari dei caffè abbassavano le rumorose serrande, la gente cominciava ad avviarsi verso casa, stanca di aspettare. Dalle finestre del palazzo trapelava un po’ di luce e sulle eleganti tende bianche che davano ai balconi si stagliavano delle ombre irrequiete e vivaci, mentre dietro il grande edificio rinascimentale le macchine erano sempre ferme, immobili sopra i marciapiedi. La riunione continuava e le strade si facevano deserte. Solo le arzille zanzare vagavano senza una meta precisa, scatenate sotto un pallido bagliore di luna. Poco prima dell’alba, solo i lattai e i tranvieri mattutini si accorsero che i macchinoni neri, funerei dei gerarchi cominciavano a partire. Fu allora che da una piccola Topolino verde, fermatasi davanti al grande albergo di via Veneto, scese un giornalista inglese che agitando dei fogli che teneva in mano si rivolse al vecchio portiere che portava fuori la spazzatura: “Presto, un telefono. Hanno votato contro il Duce!”. La gente scese per le strade. Le voci erano ancora confuse ma nel complesso concordi. Roma era ancora la città sonnolenta e pigra degli altri giorni, ma qualcosa cominciava a muoversi. I distintivi del partito cominciarono a sparire e i romani si accorsero di poter criticare Mussolini e la guerra a voce alta. Il duce fu arrestato dai carabinieri e trasferito nell'isola di Ponza, dove, a partire dal 2 agosto, cominciò a scrivere un diario che tenne fino al giorno della sua liberazione, avvenuta quando si trovava a Campo Imperatore, per mano di Otto Skorzeny, il 27 agosto. Nel diario Mussolini, ormai deluso e sconfitto, riversava tutta la sua tristezza: Scrisse: “Una voce mi dice: se tu fossi morto, non avresti lasciato lo stesso palazzo Venezia, villa Torlonia, la Rocca delle Caminate, parenti ed amici, e tutto quel che ti era caro? La voce non considera che io ho abbandonato tutto ciò da vivo. Eppure è come se fossi morto”.