Perché non possiamo non dirci "cristiani" è un breve saggio scritto da Benedetto Croce nel 1942, nel quale l'autore sostiene che il Cristianesimo ha compiuto una rivoluzione «che operò nel centro dell'anima, nella coscienza morale, e conferendo risalto all'intimo e al proprio di tale coscienza, quasi parve che le acquistasse una nuova virtù, una nuova qualità spirituale, che fino allora era mancata all'umanità» che per merito di quella rivoluzione non può non dirsi "cristiana". «Gli uomini, gli eroi, i geni» che vissero prima dell'avvento del Cristianesimo «compirono azioni stupende, opere bellissime, e ci trasmisero un ricchissimo tesoro di forme, di pensiero, di esperienze» ma in tutti essi mancava quel valore che oggi è presente in tutti noi e che solo il Cristianesimo ha dato all'uomo. Croce non aveva abbandonato la sua convinzione laica né si schierava a difesa della Chiesa romana ma semplicemente osservava come «con l'appello alla storia non possiamo non riconoscersi e non dirci cristiani». La storia dimostrava cioè che era stato il successo storico del Cristianesimo più che il suo messaggio religioso a imporsi nelle coscienze. Al cristianesimo dobbiamo la nuova visione della storia dove l'uomo agisce secondo una nuova morale basata sull'amore «verso tutti gli uomini, senza distinzioni di genti e di classi, di liberi e di schiavi, verso tutte le creature, verso il mondo che è opera di Dio, e Dio che è Dio d'amore», quel Dio che è lo «Spirito» il cui mistero è ancora oggi oggetto dell'indagine dei filosofi, la cui passione per la verità ne fa quasi dei martiri.
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