Portella della Ginestra è una strage che ci racconta di un tempo in cui lo Stato e chi lo governava decidono di abdicare all'uso legittimo della forza in funzione d'ordine e di affidare, invece, la medesima funzione d'ordine a chi, in quel tempo (purtroppo come oggi), deteneva – e detiene – il monopolio della violenza e dell'illegalità: la mafia. Un patto, quindi, un patto scellerato che determina un vulnus, lo ripeto, nel processo di formazione della democrazia del nostro Paese, non solo nella storia delle istituzioni siciliane. Ma un simile patto era già stato siglato al momento della caduta del Fascismo, al tempo dello sbarco degli alleati, quando esattamente chi aveva – e avrebbe avuto – funzione di governo in questo Paese decide di stipulare un patto, questa volta con gli americani, e gli americani, a loro volta, di assicurare l'ordine costituito affidando a capi mafia la prima reggenza dei risorti comuni. E qui la storia della Sicilia diventa veramente drammatica, perché i comuni, che avrebbero dovuto essere la prima cellula dell'organizzazione istituzionale e democratica del Paese liberato, vengono invece messi nelle mani della mafia. Quanto questo inciderà sulla storia della politica, delle istituzioni di questo nostro Paese e della Sicilia, è ormai noto a tutti. Pio La Torre aveva acquisito, nel corso della sua vita, una profonda consapevolezza di questo dato che atteneva esattamente alla qualità dei processi democratici del nostro Paese. E attraverso i lavori della prima Commissione Antimafia, insieme a Cesare Terranova, aveva ricostruito minutamente questa che possiamo davvero chiamare – ancor prima che un mistero o un segreto – una tragedia per il nostro Paese. Con passione, lui decise di dedicare una parte grande dell'impegno della sua vita per attuare un disvelamento e, in qualche modo, per risanare e curare quel vulnus inferto alla democrazia.