Porto un nome pagano è la storia di un amore che esplode in tutta la sua potenza per poi consumarsi fino al totale esaurimento. Ma è anche la storia di una rinascita, o, almeno, di una speranza che si affaccia timidamente dopo il faticoso raggiungimento di una consapevolezza del sé in tutti i suoi stati. La silloge si apre con quello che potrebbe essere definito quasi un brevissimo prologo per poi passare alla narrazione della vicenda amorosa. L'incontro con un uno sconosciuto col quale nasce subito un'intensa sintonia, prima sul piano prettamente fisico, poi emozionale. La passione si fa amore e abnegazione e guarda al futuro. Ma l'inquietudine di entrambi - che pur declinandosi in maniera diversa scuote comunque il rapporto - ne determina la condanna. Subentrano quindi la rabbia, la delusione, la disperazione e l'annichilimento. Fino a quando erompe improvvisamente un'epifania salvifica. La strada sarà lunga e faticosa, ma la presa di coscienza riesce a farsi strada tra mesti ricordi e fugaci speranze. Nel viaggio poetico e sensuale che Venusia Marconi dipana, l'amore famelico, sebbene possa risultare logorante, riesce tuttavia a ispirare sogni in technicolor, e così come induce alle lacrime acuisce anche la sensibilità che fa percepire l'impercettibile: i sentimenti. Una silloge elegante, caratterizzata da una impeccabile e calibrata struttura prosodica.
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