“Prima di me, dopo di me” è un romanzo filosofico, sempre che abbia un senso ostinarsi ad inscrivere un romanzo in un sottogenere. Dunque bisogna attendersi qualcosa di più e qualcosa di meno rispetto alle opere narrative oggi tanto in voga: qualcosa di più, perché l’autore si prefigge di travalicare i confini del racconto per esplorare dialetticamente la vita, l’universo e l’ignoto, qualcosa di meno, in quanto l’intreccio non è molto complesso, sebbene non manchino intersezioni, scambi narrativi e colpi di scena. Nonostante il libro sia per lo più scritto in prima persona, è quanto mai lontano dall’autobiografismo, anche trasfigurato e decantato. Il motivo si comprende leggendo “Prima di me, dopo di me” che in fondo è un post-romanzo, ossia si colloca, per le sue intrinseche caratteristiche, sul limitare del genere, se non al capolinea. Parola-chiave è senza dubbio “fine”, una fine che prelude più che ad un nuovo principio, all’origine. Testo, per certi versi, ambizioso, a causa delle impervie elucubrazioni e delle descrizioni quasi iperrealistiche, con gli stessi personaggi principali che, pur nella finzione letteraria, trascendono gli schemi per accogliere in sé l’umanità con le sue contraddizioni. Opera ambiziosa, eppure “umile” nel senso medievale del termine, giacché incistata nell’esistenza comune, nella sua ineffabile bellezza, nella sua tragica e dolorosa incomprensibilità.