Una silloge atipica per Luca Centoni, artista poliedrico in costante evoluzione. In alcuni poeti il confine espressivo tra poesia, riflessione poetica e prosa lirica è molto sottile, per altri è sinonimo di crescita contaminare il proprio stile con inflessioni diverse, come un musicista pop che assorbe ritmi jazz e country disarticolando generi e aspettative. Per Centoni appare una necessità il passo compiuto in direzione della prosa sotto forma di intuizioni, monologhi e flussi di coscienza che disattendono spesso la versificazione e si riversano in una struttura più narrativa. Non c'è una dimensione intimista e solitaria nella silloge, qualunque sia la forma espressiva adottata di volta in volta, il Poeta ha sempre un altro cuore a cui rivolgersi - un amore, un amico, un familiare - cuore che non fugge mai il confronto, soggetto attivo anche nel silenzio o nell'assenza. Un costrutto relazionale intessuto di fili sottilissimi, fragili come la speranza, l'amore e l'amicizia. Che non disdegna di mettersi in discussione, di osservare la realtà effettuale minata da disastri naturali, avidità, interessi personali. Dov'è allora la dimensione affettiva, la memoria, il rispetto per l'altro? Forse la risposta non è nelle pieghe di un verso, di un pensiero o nelle pennellate di un dipinto scolpito di lemmi ma soffermarsi su di essi può essere un inizio. Musica che scalpita, che batte sorda, parole che si rincorrono come purosangue, epifanie sensuali, ricordi agrodolci, certezze che danno respiro alla mutevolezza del pensiero. Una silloge che si rinnova e si arricchisce a ogni scorrere di pagina.
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