Sensibili e misteriose, le poesie di Cristina Alziati sono nitide visioni dal buio o “dal chiarore dell’inesistenza”. Toccano ringhiere di cenere, le piante sotto la corteccia. Provano intimità universali tra chiazze d’ossido, nuvole e terra; raccontano la ruggine dei rovi, deserto che non c’era. Attraversano grandi stanze semivuote, una piccola folla in cucina. Salgono le scale in silenzio, scampate al naufragio; viaggiano sui tetti dei treni. “Non temono le spine”. A undici anni di distanza dal libro precedente, Come non piangenti, torna una tra le voci più potenti e spiazzanti della poesia contemporanea.