«Questo libro racconta racconta alcune esperienze di teatro sociale con gli anziani, in gran parte con forme diverse di demenza senile. Queste esperienze, che ruotano su Milano e dintorni, fanno parte di un più ampio sforzo collettivo per migliorare la condizioni di vita degli anziani più fragili. Se qualcuno si chiede cosa c’entra il teatro con i malati di Alzheimer è presto detto. Il teatro sociale è quel teatro che trasferisce e applica alla vita quotidiana di persone in situazione di disagio pratiche psicofisiche e attività teatrali allo scopo di ottenere, nelle condizioni date, il maggior benessere possibile delle persone, della sua cerchia familiare, della sua comunità o collettività di riferimento.
Che fa tutto il giorno un malato di Alzheimer? Certo, avrà una badante o sarà ricoverato in un nucleo Alzheimer, con medici, infermieri, eccetera. Gente che pensa al suo corpo. Alla pulizia e alla sua cura. Un po’ di fisioterapia. Un giro nel parco. Ma la sua solitudine, il suo spirito, le sue relazioni, il suo immaginario, i suoi ricordi, le sue paure, le persone che ama e che non riconosce, le parole, i suoi piaceri dove sono? Dove vanno? Con chi li può condividere? Come li può esprimere? Dove? Quando? Chi lo guarda? Chi riesce a sentire veramente vicino? Chi lo tocca? Da chi è toccato? Ha perso per sempre gli amici? Ha perso per sempre ogni forma di comunicazione? Di comprensione? Non ha diritto ad alcun sollievo? Relax? Piacevole compagnia? Musica? Danza? Amore?
La vita sostenibile degli anziani fragili è tutta da scoprire, da inventare, da creare. Si giustifica spesso il teatro o l’arte con i malati di Alzheimer come terapia non farmacologica. Ma se il teatro sociale è il lavoro creativo sulla relazione con il proprio corpo-mente, in qualsiasi stato sia, con gli altri che ami o detesti, con il proprio ambiente sociale e con il mondo delle cose e degli oggetti, allora l’agire espressivo è più che una terapia. È l’energia della vita. È l’arte della persona. Il suo spirito. Quello che si spegne solo con l’ultimo respiro.»
Tratto dall'Introduzione di Claudio Bernardi
Che fa tutto il giorno un malato di Alzheimer? Certo, avrà una badante o sarà ricoverato in un nucleo Alzheimer, con medici, infermieri, eccetera. Gente che pensa al suo corpo. Alla pulizia e alla sua cura. Un po’ di fisioterapia. Un giro nel parco. Ma la sua solitudine, il suo spirito, le sue relazioni, il suo immaginario, i suoi ricordi, le sue paure, le persone che ama e che non riconosce, le parole, i suoi piaceri dove sono? Dove vanno? Con chi li può condividere? Come li può esprimere? Dove? Quando? Chi lo guarda? Chi riesce a sentire veramente vicino? Chi lo tocca? Da chi è toccato? Ha perso per sempre gli amici? Ha perso per sempre ogni forma di comunicazione? Di comprensione? Non ha diritto ad alcun sollievo? Relax? Piacevole compagnia? Musica? Danza? Amore?
La vita sostenibile degli anziani fragili è tutta da scoprire, da inventare, da creare. Si giustifica spesso il teatro o l’arte con i malati di Alzheimer come terapia non farmacologica. Ma se il teatro sociale è il lavoro creativo sulla relazione con il proprio corpo-mente, in qualsiasi stato sia, con gli altri che ami o detesti, con il proprio ambiente sociale e con il mondo delle cose e degli oggetti, allora l’agire espressivo è più che una terapia. È l’energia della vita. È l’arte della persona. Il suo spirito. Quello che si spegne solo con l’ultimo respiro.»
Tratto dall'Introduzione di Claudio Bernardi