Marisa Cecchetti racconta un’estate durante la quale due fratelli si ritrovano a condividere luoghi e ricordi in un isolamento quasi magico, mentre intorno a loro roghi improvvisi distruggono boschi, prati, campi coltivati, abitazioni.
Il caldo estivo lo si avverte a pelle nelle scelte lessicali, nella elegante potenza delle immagini di una campagna arrostita dal sole, del grano che smuove onde gialle al vento profumato e al silenzio dell’attesa, della vigna che si fa cornucopia di grappoli succosi, pronti per essere colti nel rito sacro della vendemmia.
Lontano, ma più vicino che mai, l’eco tragico della sorte afgana in una corsa folle verso la salvezza.
Vicende personali e politico-sociali si snodano in un intreccio ondulatorio di emozioni legate al passato e al presente, tra un incanto ritrovato e visioni quasi oniriche di un trascorso intimamente vivo e pulsante. Pressante, quasi ritmato, l’irrompere della violenza.
La memoria si fa presenza, ricerca delle proprie radici, scoperta dell’io profondo che non dimentica, in una sorta di epifania rassicurante.
Il poemetto, diviso in quattordici strofe, elegante, delicato nel suo incedere metrico in versi sciolti, interpreta il caos della vita, in una simbiotica fusione fra realtà e allusione, richiamo e rimando. Una narrazione poetica caratterizzata dal recupero di emozioni accantonate, che profumano d’infanzia vissuta pienamente, ritrovata attraverso l’uso dell’ossimoro che tutto intride e illumina.
Il caldo estivo lo si avverte a pelle nelle scelte lessicali, nella elegante potenza delle immagini di una campagna arrostita dal sole, del grano che smuove onde gialle al vento profumato e al silenzio dell’attesa, della vigna che si fa cornucopia di grappoli succosi, pronti per essere colti nel rito sacro della vendemmia.
Lontano, ma più vicino che mai, l’eco tragico della sorte afgana in una corsa folle verso la salvezza.
Vicende personali e politico-sociali si snodano in un intreccio ondulatorio di emozioni legate al passato e al presente, tra un incanto ritrovato e visioni quasi oniriche di un trascorso intimamente vivo e pulsante. Pressante, quasi ritmato, l’irrompere della violenza.
La memoria si fa presenza, ricerca delle proprie radici, scoperta dell’io profondo che non dimentica, in una sorta di epifania rassicurante.
Il poemetto, diviso in quattordici strofe, elegante, delicato nel suo incedere metrico in versi sciolti, interpreta il caos della vita, in una simbiotica fusione fra realtà e allusione, richiamo e rimando. Una narrazione poetica caratterizzata dal recupero di emozioni accantonate, che profumano d’infanzia vissuta pienamente, ritrovata attraverso l’uso dell’ossimoro che tutto intride e illumina.