Le ragioni ed i riflessi della compenetrazione tra Soggetto e Fatto di reato sono questioni che l’attualità conosce e di cui discute, sia sul piano del diritto che sul piano della politica criminale. Lo dimostra l’osservazione “empirica”, dove si tocca la progressiva estensione del perimetro del reato proprio, quale tipologia di fattispecie criminose che secondo l’inquadramento tradizionale postula il possesso di particolari requisiti o qualità in capo al soggetto attivo; requisiti o qualità che assumono con ciò il ruolo di elemento costitutivo del reato, in giustapposizione a quelle qualificazioni soggettive – così l’imputabilità – che rappresentano status soggettivi (riferibili all’autore) indipendenti dalla struttura tipica.Nella portata di queste riflessioni il campo di osservazione si proietta nella storia moderna del diritto penale, per verificare l’adattamento che il fattore “qualifica soggettiva” penalmente rilevante ha vissuto col superamento dell’atmosfera culturale in cui si era originariamente immersa la codificazione penale dello scorso secolo, e con l’affermarsi dei nuovi principi e valori dettati dalla Carta costituzionale. La scelta di sistema che evolutivamente se ne può trarre, si plasma quindi attorno alla validità oggettiva della qualifica soggettiva, nel senso che la “classificazione del soggetto” esige di avere riflesso sulla specifica tipicità del comportamento: esso prende forma col modularsi attraverso l’esercizio dei poteri tipici connessi a quel ruolo; e a seconda dei casi avrà il nome del comportamento punito, ove si tratti della condotta tipizzata del soggetto agente, ovvero del comportamento manifestato in concreto nella realtà della vicenda tipizzata ove si tratti di soggetto vittima del reato. È del resto la visione della realtà umana ad attestare come ogni individuo cresca in un determinato ambiente ed entri in un ruolo sociale in virtù del quale ci si aspettano da lui determinate prestazioni: l’individuo è bensì libero di compiere delle scelte, ma la sua libertà rimane tuttavia in un certo senso condizionata dalla esistente struttura sociale. Lo sguardo che le teorie funzionalistiche – id est, la teoria dei “ruoli” – getta alla società non sembra dunque così lontano rispetto a quello assunto dal legislatore penale, seppure nella limitata misura in cui le prime come il secondo “leggono” il comportamento dell’individuo in base allo status che occupa in uno dei determinati sottosistemi che compongono il sistema sociale. I ruoli sono difatti strutture normative che determinano le aspettative, vale a dire l’insieme dei diritti e doveri, nei confronti di chi occupa una determinata posizione sociale. Quando sono noti i ruoli che un individuo svolge, c’è già – allora – una immagine “ideale ed astratta” dei contorni che si assegnano al suo comportamento in quel dato contesto, e che quel comportamento rendono riconoscibile, “apparentandolo” al determinato soggetto. Quando il ruolo sta scritto nella norma penale, occorre apprezzare il rilievo ed il riflesso sulla tipicità oggettiva che a quel ruolo si assegna, conferendo una speciale “certezza” alla fattispecie ncriminatrice mercé la precisazione letterale-fenomenica del fatto punito e la determinatezza dell’avvenimento destinata a riflettersi nella sua verifica e dimostrazione processuale.