Le mappe in mio possesso cantavano ognuna una messa propria, erano differenti l’una dall’altra. In questo caos di informazioni l’unica cosa certa era che la “cosa” funzionava, non sapevo bene o come e perché, ma funzionava. Il rapporto con l’ambiente ospedaliero mi andava sempre più stretto. D’altronde avevo studiato come infermiere professionale per prepararmi all’avventura di volontariato internazionale, provenivo da una formazione artistica, pianoforte e Istituto d’Arte, non ero programmato per fare l’infermiere a vita. Il fuoco della ricerca mi divorava. Lasciai l’ospedale dove ero di ruolo, un figlio in arrivo, una pensione assicurata dopo più di quarant’anni di lavoro, (sigh!), vedevo il mio futuro in quell’ambiente come un ergastolo ormai. La mia testa era fuori di lì, ero completamente proiettato nella mia personalissima ricerca reflessologica.