Nella Parigi di inizio Novecento, venticinque secoli dopo Saffo, in una città mondana e libertina, tra i pizzi delle gonne al Moulin Rouge e i cocktail “al vetriolo” serviti nei salotti, una poetessa sfidò il suo tempo, scrivendo versi appassionati sull’amore e sulle donne.
Il suo nome era Pauline Mary Tarn (1877-1909), meglio conosciuta come Renée Vivien, una “figlia di Baudelaire”, come fu definita, che mise fine alla sua vita troppo presto, a soli trentadue anni.
Riportata in auge dal femminismo degli anni Settanta come una pioniera del canto lesbico, è ora considerata una delle voci più autorevoli del simbolismo francese. Al di là di ogni vivisezione psicoanalitica, che la tratteggia come anoressica, masochista, amante della Morte a discapito della Vita, la provocazione di Renée Vivien ha ancora molto da dire a favore del canto poetico inteso come “panico del suono”.
Teresa Campi, la prima studiosa italiana di Renée Vivien, restituisce finalmente un ritratto sincero di questa straordinaria donna presentandola non più come una figura misteriosa e “depravata” ma anzi come un personaggio appassionato, sullo sfondo dell’atmosfera dorata dei salotti e cenacoli delle jeunes filles de la Societé Future tra cui spiccava l’americana Natalie Clifford Barney, ricca e spavalda amante di Renée.
Il loro legame, tanto sulfureo quanto doloroso, divenne il perno centrale dei delicatissimi e mistici versi della poetessa. Eccentrica e scandalosa, ma anche colta e raffinata, la “Musa delle violette” ci ha lasciato parole appassionate e tempestose, che continuano a risuonare nel tempo.
Il suo nome era Pauline Mary Tarn (1877-1909), meglio conosciuta come Renée Vivien, una “figlia di Baudelaire”, come fu definita, che mise fine alla sua vita troppo presto, a soli trentadue anni.
Riportata in auge dal femminismo degli anni Settanta come una pioniera del canto lesbico, è ora considerata una delle voci più autorevoli del simbolismo francese. Al di là di ogni vivisezione psicoanalitica, che la tratteggia come anoressica, masochista, amante della Morte a discapito della Vita, la provocazione di Renée Vivien ha ancora molto da dire a favore del canto poetico inteso come “panico del suono”.
Teresa Campi, la prima studiosa italiana di Renée Vivien, restituisce finalmente un ritratto sincero di questa straordinaria donna presentandola non più come una figura misteriosa e “depravata” ma anzi come un personaggio appassionato, sullo sfondo dell’atmosfera dorata dei salotti e cenacoli delle jeunes filles de la Societé Future tra cui spiccava l’americana Natalie Clifford Barney, ricca e spavalda amante di Renée.
Il loro legame, tanto sulfureo quanto doloroso, divenne il perno centrale dei delicatissimi e mistici versi della poetessa. Eccentrica e scandalosa, ma anche colta e raffinata, la “Musa delle violette” ci ha lasciato parole appassionate e tempestose, che continuano a risuonare nel tempo.