I cinquant’anni che corrono tra il 1480 e il 1530 in Italia furono caratterizzati da un forte contrasto tra le istanze religiose e le certezze di una cultura che contava di potersi affidare soprattutto ai classici antichi, come esempio di un sapere bene organizzato e funzionale. Gerolamo Savonarola, la cui importanza è apparsa sempre più determinante in questi ultimi decenni, reagì anche alla rinascita del platonismo e alla dottrina della pia philosophia, considerati solo apparentemente religiosi. Si volle, quindi, anche seguendo l’insegnamento di Savonarola, difendere il Cristianesimo in quanto vera religione, asserire che la vita civile dovesse essere adeguata ai principi della fede e quindi, ed in particolar modo, sottolineare che un’etica nuova doveva animare non solo la società, ma in particolare la Chiesa, perché essa ritornasse alla perfezione del cristianesimo primitivo e dell’insegnamento di Cristo. A queste istanze furono indirizzate anche forme di cultura che avevano avuto tutt’altri intendimenti, come lo zoroastrismo, l’ermetismo e il platonismo. Tuttavia il sentimento religioso e l’esigenza di un rinnovamento si manifestavano rispettando un limite: nessun rinnovamento poteva concludersi in una rivolta contro la sede di Roma, bensì doveva rimanere al suo interno. Questo atteggiamento si fece evidente allorquando cominciò a manifestarsi la gravità della crisi luterana e si dovette identificare più strettamente la fede ‘cattolica’ con la fede di Roma: l’esigenza di rinnovamento non portò ad una Riforma italiana, ma si fermò sul suo limitare; perché vi fossero degli ‘eretici italiani’, come sono stati chiamati, si dovette attendere la generazione successiva.