“Rugiada sui fili d’erba in gocce minute ravvicinate che si confondono / viste da lontano sono un velo sottile quasi trasparente per luce riflessa che sparge bianco sui fili verdi / guardato nella moltitudine del prato tagliato dalla luce del sole del mattino diventa cenere e grigioargento / come un velluto che non resiste al tocco nemmeno della mano di un bambino.” Così si apre questo poema in venticinque quadri di Mario Campanino, in cui lo sguardo e il linguaggio poetico sono diretti alla conoscenza di un oggetto volatile e trasparente come la rugiada, che offre squarci visivi sull’esistenza tutta, sulla Terra in moti di rotazione e rivoluzione, sul tempo umano nel suo pulsare tra sapere e ignorare, essere e non essere, luce del giorno e buio notturno, osservazione e cecità. Il verso libero e la forma aperta di queste strofe ricercano la verità descrittiva con un linguaggio minuzioso e di sapore quasi scientifico quando tratta della trasparenza liquida, della riflessione della luce, dei colori, e diventa poi semplice e immediato quando esprime l’intimità dell’essere, gli interrogativi umani più profondi e sentiti.