Nel contesto della recente rivalutazione della filologia di età bizantina, uno degli aspetti più valorizzati è stato il rapporto fra produzione intellettuale e condizioni socio-economiche di contesto, in termini di relazioni con patroni/committenti e di connessioni tra studiosi all’interno o all’esterno delle strutture accademiche. Tale prospettiva di indagine ha finora toccato solo marginalmente la figura di Giovanni Tzetze: pare infatti ancora pienamente attiva la considerazione della retorica di esaltazione dalla sua opera e denigrazione di quella altrui (autori antichi o coevi), che costella i suoi lavori, come sfogo sinceramente autobiografico, prodotto di (in)sofferenze di natura prevalentemente emotiva o al più di un concreto stato di isolamento ed estrema difficoltà. L’analisi di una serie di questi testi permette invece di riconoscervi il frutto di uno specifico progetto autopromozionale, attuato grazie a quella che si potrebbe definire ‘retorica dell’eccellenza’, e finalizzato alla costruzione di un ‘marchio tzetziano’, un manifesto dell’unicità del lavoro di Tzetze all’interno del competitivo mercato della produzione intellettuale coeva.