Richard Wagner non è stato solo una delle rivelazioni cardine del Secondo Ottocento, è stato anche un pensatore e saggista di livello europeo, rappresentante convinto della Kultur, espressione di una lotta per l’egemonia della musica tedesca, e la sua opera didattico-profetica ha trovato i suoi più accorati accenti negli scritti che il musicista ha dedicato a un altro gigante della storia della musica: Beethoven. Sono scritti che raccolgono impressioni, ingenuità, velleità di colui che si professa allievo e continuatore dell’autore della Nona Sinfonia, e si estendono per circa un trentennio, dal 1840 al 1870. La loro riproposizione — in una nuova traduzione, che fa giustizia degli arcaismi e delle imprecisioni tecnico-musicali che penalizzavano le precedenti edizioni italiane — può essere altamente significativa anche oggi, soprattutto in una prospettiva storicistica, laddove è importante sottoporre a verifica il processo di fagocitante appropriazione alla quale Wagner sottopone l’estetica musicale beethoveniana.