La leggenda narra che il primo uso del termine selfie avvenne il 13 settembre 2002, sul forum del sito australiano ABC Online. Per qualche anno è caduto nel dimenticatoio fino alla consacrazione avvenuta nel 2013 quando il termine è stato inserito nell’Oxford English Dictionary, con la seguente definizione: Una fotografia di se stessi, tipicamente ripresa con uno smartphone o una webcam e caricata su un social network. Per celebrare l’evento, sempre nel 2013, è stata organizzata a New York la mostra intitolata Art in Translation: Selfie, The 20/20 Experience, grazie alla quale i visitatori avevano la possibilità di realizzare dei selfie di se stessi di fronte a un grande specchio attraverso una macchina fotografica digitale compatta. Che c’entra la selfie-mania con un libro in cui non ci sono foto di alcun genere? Sarebbe stato semplice pubblicare uno scatto e scrivere qualche impressione scaturita dall’osservazione dello stesso: semplice non per chi scrive ma per chi osserva-legge. Operazione più interessante e originale, invece, quella di Paola Montanari che scatta selfie di se stessa, della sua vita di trentenne alla prese con una coinquilina cleptomane, i sabato sera sul divano, la palestra, gli amici, i nipoti attraverso le parole. E allora chi legge si trova a osservare il selfie scattato dalla tastiera di un pc. Tanti piccoli fotogrammi di sensazioni quotidiane vissute con sentimento ma non sempre valorizzate, ogni fotogramma rispecchia un attimo, un pensiero, una persona o un’emozione. Sentendo prepotente il bisogno di manifestare quello che si ha dentro.