La vita in una comunità isolata dal mondo, mentre imperversa un morbo che uccide e si cerca disperatamente una cura che possa salvare chi si ammala. Sembra storia d’oggi e invece è, in estrema sintesi, la trama del romanzo poetico Selva di luce, opera degli autori pluripremiati Roberto Malini e Steed Gamero. L’azione si svolge due secoli dopo la fine dell’Impero Inca, nel villaggio immaginario di Chaupi Llajta, ai margini della foresta peruviana. Nel nuovo Perù coloniale le popolazioni quechua conducono una vita di schiavitù e stenti sotto il giogo dei conquistadores. Malcontento e disperazione serpeggiano fra i contadini indigeni depauperati dall’esosità del fisco della corona di Spagna o sfiniti e avvelenati dal lavoro nelle miniere. Se la cultura contemporanea ha perduto quasi totalmente la forma e i contenuti delle composizioni degli arawicus, i poeti erranti dell’Impero Inca, grazie ai frammenti citati nelle cronache dell’epoca sappiamo come fossero importanti per loro le allegorie sacre, il retaggio di saggezza tramandato dagli antenati, la presenza del divino nei cicli naturali e in ogni azione, in ogni pensiero degli esseri umani. Selva di luce eredita quella profonda affinità fra noi e il cosmo, quella sincronicità ineffabile che solo il linguaggio della poesia narrativa è capace di esprimere.