Fu un silenzioso, intimo, speciale rapporto di mutuo soccorso quello che legò Fausto e Serse Coppi anche nel corso della loro storia sportiva. Una naturale e speciale relazione che non si esauriva una volta scesi dai pedali. Serse era per Fausto non solo il fratello minore da istruire ma forse per davvero l’unica persona sulla quale poter fare affidamento anche nel privato. E Fausto per Serse era non solo il fratello campione, ma era sangue del suo sangue, a cui sentiva di dover coprire le spalle per affettuosa devozione e un infinito rispetto fraterno mai sfociato in rivalità o gelosie. Serse voleva molto bene a Fausto e ne desiderava ogni felicità.
Serse era il quinto dei fratelli Coppi, il più piccolo. Sembrava la copia esatta di Fausto, tanto si somigliavano. E del campionissimo era assieme l’angelo e il gregario, soprattutto nelle leggendarie sfide contro un altro indimenticabile fuoriclasse, Gino Bartali. Serse morì per le conseguenze di una brutta caduta, avvenuta infilando una ruota in un binario del tram durante un Giro del Piemonte. Aveva appena ventotto anni. Quel triste giorno di giugno del 1951, mentre Serse spirava, Fausto si aggirava per i corridoi della clinica Sanatrix di Torino come un leone in gabbia. L’Airone aveva gli occhi al cielo trasfigurati dal pianto. Non faceva che ripetersi disperato e a denti stretti: “Aveva ragione mamma… non avremmo mai dovuto correre…”.
“Da ragazzino vidi una foto che mi rimase stampata nella memoria come un’icona e mi rese familiare l’immagine di Serse. Era la foto che lo ritraeva dopo la vittoria nella Parigi-Roubaix del 1949, appena sceso di bicicletta: due occhioni fra l’incredulo e lo spiritato, in un’esplosione di gioia incontenibile”. (Felice Gimondi)
“Quella di Serse fu un’esistenza intensa ma fortemente e amaramente contraddistinta dal destino. Per raccontare la quale, in assenza di un prestigioso palmarès di trionfi e roboanti imprese, sono necessarie una buona dose di misura e tanta delicatezza. Che a Lucio Rizzica davvero non mancano”. (Riccardo Magrini)
“Adesso che sono grande, papà, penso che tu, Serse, Ettore e quella schiera di ragazzi che hanno chiamato e chiamano ancora ‘gli angeli di Coppi’, eravate fratelli. Che tu di fratelli ne avevi a iosa. Fratelli di sangue. Sangue del ciclismo. Quel ciclismo. Che non tornerà più”. (Marco Carrea)
Serse era il quinto dei fratelli Coppi, il più piccolo. Sembrava la copia esatta di Fausto, tanto si somigliavano. E del campionissimo era assieme l’angelo e il gregario, soprattutto nelle leggendarie sfide contro un altro indimenticabile fuoriclasse, Gino Bartali. Serse morì per le conseguenze di una brutta caduta, avvenuta infilando una ruota in un binario del tram durante un Giro del Piemonte. Aveva appena ventotto anni. Quel triste giorno di giugno del 1951, mentre Serse spirava, Fausto si aggirava per i corridoi della clinica Sanatrix di Torino come un leone in gabbia. L’Airone aveva gli occhi al cielo trasfigurati dal pianto. Non faceva che ripetersi disperato e a denti stretti: “Aveva ragione mamma… non avremmo mai dovuto correre…”.
“Da ragazzino vidi una foto che mi rimase stampata nella memoria come un’icona e mi rese familiare l’immagine di Serse. Era la foto che lo ritraeva dopo la vittoria nella Parigi-Roubaix del 1949, appena sceso di bicicletta: due occhioni fra l’incredulo e lo spiritato, in un’esplosione di gioia incontenibile”. (Felice Gimondi)
“Quella di Serse fu un’esistenza intensa ma fortemente e amaramente contraddistinta dal destino. Per raccontare la quale, in assenza di un prestigioso palmarès di trionfi e roboanti imprese, sono necessarie una buona dose di misura e tanta delicatezza. Che a Lucio Rizzica davvero non mancano”. (Riccardo Magrini)
“Adesso che sono grande, papà, penso che tu, Serse, Ettore e quella schiera di ragazzi che hanno chiamato e chiamano ancora ‘gli angeli di Coppi’, eravate fratelli. Che tu di fratelli ne avevi a iosa. Fratelli di sangue. Sangue del ciclismo. Quel ciclismo. Che non tornerà più”. (Marco Carrea)