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Ogni uomo rappresenta e raccoglie in sé una duplice realtà riconducibile a unità: una realtà soggettiva (l’Uomo come padre, come marito, come lavoratore, come centro di interessi morali e affettivi oltre che materiali in senso lato) e una realtà oggettiva (l’Uomo-cittadino).Tali realtà vengono vissute più o meno in simbiosi nella misura in cui il soggetto vive con rigorosa coerenza la propria condizione.Quest’ultima si snoda lungo l’arco esistenziale ricca di manifestazioni di vita o di non vita (fughe, svicolii, azioni e omissioni, cadute e risollevate, conquiste, crescite, etc.). Causa ed…mehr

Produktbeschreibung
Ogni uomo rappresenta e raccoglie in sé una duplice realtà riconducibile a unità: una realtà soggettiva (l’Uomo come padre, come marito, come lavoratore, come centro di interessi morali e affettivi oltre che materiali in senso lato) e una realtà oggettiva (l’Uomo-cittadino).Tali realtà vengono vissute più o meno in simbiosi nella misura in cui il soggetto vive con rigorosa coerenza la propria condizione.Quest’ultima si snoda lungo l’arco esistenziale ricca di manifestazioni di vita o di non vita (fughe, svicolii, azioni e omissioni, cadute e risollevate, conquiste, crescite, etc.). Causa ed effetto dell’essere, dell’esistere, della realtà umana manchevole.Manifestazioni che rappresentano comunque altrettanti indicatori di libertà.I fattori riconducibili al soggetto/oggetto come entità viva e operante (in positivo o in negativo) possono essere psicologici (interni) e non (esterni).I primi caratterizzano il soggetto “uti privato” per la realizzazione soggettiva.E su ciò vi influiscono molto le qualità tutte (positive e negative) dell’individuo come, ad esempio, la volontà, lo zelo, l’onestà e la rettitudine, l’educazione, la tolleranza, la fiducia e la speranza, il rispetto, 1′obiettività, la coerenza.In una parola la Cultura interiorizzata. E, per converso, 1′ignoranza con tutti i tratti disgreganti alla medesima riconducibili come la corruzione, l’arrivismo e il clientelismo, l’ozio, 1′arroganza e l’intolleranza, l’amoralità, l’egoismo, il vizio, etc.Nel mentre i fattori psicologici costituiscono il “retaggio” dell’individuo e ne caratterizzano il diuturno esercizio nel vivere quotidiano, i fattori esterni in buona parte non sono dominabili se non per la parte che consegue ad impegni corposi e di opinione a livello di aggregazione sociale molto ampia.Così, possiamo considerare dominabili (almeno per grandi linee) i messaggi dei mass media, la scelta delle amicizie, il delinquere, la propensione per il terrorismo, per la droga; la preferenza per l’ecologia o meno, per il risparmio; la scelta dellaprofessione, della ideologia politico-religiosa, etc.Non sono dominabili o influenzabili che in minima parte il tipo di Stato, di politica, di cultura istituzionalizzata; la disoccupazione, la corruzione e l’arroganza del Potere, etc.I1 soggetto/individuo non può che guardare al suo futuro calandosi nel suo passato dal quale trae i lumi per meglio determinarsi così che ogni ricordo finisce per costituire un piccolo cosmo che la persona, in quanto tale, porta con sé come retaggio appunto ed al quale continuamente attinge, come ad una fonte, gli stimoli che esso ricordo rinnovella – in positivo o in negativo - lungo l’arco temporale entro il quale si formano e si consolidano irrobustendosi la personalità intellettiva e la capacità di darsi una fisionomia culturale e di vita a propria misura.Anche in proiezione oggettiva, sociale.Si crea in una parla un modello ideale nel quale si riconosce e che condiziona ogni atto del suo divenire.Lo scostamento tra il sentito (e voluto) ed i fattori esterni divergenti dal modello ideale creatosi, tende pertanto ad acuirsi o meno nella misura in cui il soggetto è capace di farsi tramite tra e con gli altri cittadini (movimenti di opinione) per aggredire detti fattori esterni, cause e concause sui quali ha, per principio teoricodi libera determinazione, una signoria quasi assoluta.E ciò in quanto la stima di parametri esistenziali – visti in una ottica coerente (indi- spensabile per dare contenutezza all’approccio teorico in parola) – prescinde dai fattori incontrollabili e oggettivamente fuori “campo-persona”, considerata scontata la loro presenza ed i connessi condizionamenti.E’ chiaro che essendo “signoria” sinonimo di dominio sui comportamenti ciò equivale a riconoscere possibilità di porre in essere atti e comportamenti volitivi – fattuali – capaci di rendere concreto e reale il modello ideale in cui il soggetto crede e siriconosce.Tale modello grava il soggetto perché la realizzazione postula l’accettazione di tutti gli oneri connessi, psicologici e non.E il soggetto/individuo lo sa e ne è cosciente.Se, però, 1′obbedienza alle regole del gioco è un onere unidirezionale, cioé a carico del solo soggetto e non anche a carico di tutte le componenti interessate (Istituzioni, Società, legalità, etc.) ecco che l’individuo scopre, oltre alla sostanziale inutilità del suo essere “presente”, la sua impotenza a mutare il corso delle cose, la sua marginalità, e si indigna.Se lo Stato, ad esempio, lascia intravedere al soggetto/ Cittadino – in un dato momento storico come investimento sul futuro – ben determinate possibilità professionali o di valorizzazione delle singole capacità e qualità o livelli di civiltà e di convivenza generale più che decorsi se non ottimali, alla cui concretezza subordina l’impegno e l’apporto personale dell’individuo medesimo (come cittadino, come genitore, professionista, contribuente), la risposta positiva di detto individuo crea in questi una aspettativa legittima la cui frustrazione rende iniquo il gravame imposto e mina il rapporto intercorrente tra le Stato chepromette e non mantiene e il Cittadino stesso che paga in prima persona senza contropartita.In una parola, si crea un rapporto iniquamente sbilenco, aberrante e fraudolento.Ad essa aspettativa consegue d’impatto una certa reazione per effetto di trascinamento, poggiante su una presente discrasia nella personalità (una soggettiva scoria culturale), che porta l’individuo a sposare posizioni che all’occhio esterno possono apparire incoerenti.Non altrettanto per l’individuo il quale invece va formandosi l’opinione soggettivamente pagante che l’impegno profuso per realizzare il modello iniziale non ha dato (soggettivamente) apprezzabili risultati consolidando nell’individuo medesimola consapevolezza che la frustrazione della aspettativa di cui è cenno è immeritata.Da qui discende il nucleo della ribellione – il disimpegno civile – ove l’indignazione è 1′atteggiamento concreto, esterno obiettivo, in cui si sostanzia il rifiuto del nucleo “impotenza” in astratto sì sempre presente e previsto ma essenzialmente come evento ipotetico e assolutamente estraneo alla propria sferaesistenziale. Un’autodifesa a prescindere.L’individuo quindi concorre a crearsi un approccio egoistico secondo il falso assunto “di qua Io” (sempre nel giusto perché soggettivamente giusto) “di là il Mondo” (unico responsabile del mio eventuale non essere giusto)!E’ chiaro che la realtà odierna politico-sociale e di tenimento dei valori primari non può riconoscere come assoluto l’assunto suddetto, ma che siano presenti in questi Anni Ottanta molti concreti caratteri perché abbia corpo e significazione è sottogli occhi di tutti.E 1′ “Indignatio” di storica memoria riprende corpo di regime in regime, di epoca in epoca, secolarizzandosi inesorabilmente.E il Calabrese, in questi controversi anni ’80, come vive questa realtà? L’essere marginale alle grandi aree socio-culturali evolute e campione di arretratezza stereotipato oltre i propri demeriti (e ne vive e molti, pure), che ruolo si è ritagliato, che dimensione si è dato, magari anche residualmente?Il Calabrese vive l’indignatio come la generalità dei cittadini destinatari. Il principio è incontestabilmente condivisibile.Questi ultimi però avvertono sì la discrasia di cui si discorre ma ne interiorizzano il portato, ne trovano i rimedi nelle mille opportunità che offre il tessuto culturale, sociale e produttivo dell’area di appartenenza. Vivono una condizione menodisgregante rispetto a chi, per debolezza e marginalità sociale, non può fruire delle stesse opportunità.Il Calabrese docet.Il Calabrese però ci mette di suo anche altro: il ritagliarsi uno spazio entro questa logica per farlo proficuo teatro di commedie lacrimevoli sottese a giustificare una connaturata tendenza al lamentio. L’ “impotenza” diventa così tensione verso un ruoloda marginale a non marginale al sistema ambendo a diventare (sovente diventando) se non protagonista almeno comprimario.Il carattere sanguigno non modera ma crea e alimenta uno sfilacciamento socio-culturale che degrada in tutti i campi dello scibile con un affranco su un filo sottile di demarcazione il cui superamento diventa traccheggio e continua contaminazione di valori, peraltro abbastanza radicati nelle coscienze ma non sempre,e da tutti, coltivati a misura.E per dare senso all’assunto basti pensare ai comportamenti che caratterizzano nella generalità il suo diuturno essere (o nonessere).Infatti, non pensa, non vede, non sente: a convenienza. E quando ha momenti di lucidità speculativa inveisce contro quel “Mondo” ritenuto causa del suo non “essere”, ma nulla fa o fa poco per affrancarsi dalla sofferta bardatura imposta.Non diventa credibile in quanto, tra le altre scorie culturali, tende al becero lamentio e all’incoerenza tra uno stato di rifiuto per la bardatura e il cavalcarla.La realtà alla fin fine registra e mostra uno stereotipo umano e culturale da additare come esempio per comparazioni sì di dubbio gusto e di ingeneroso spessore ma per nulla campato in aria.Mille sono i valori che elevano questo stereotipo umano e culturale chiamato Calabrese e che rendono la sua specificità punto di coagulo di generosa solidarietà e disponibilità, ospitalità e rispetto, acume speculativo e condivisione dei ruoli e dei valori fondanti, compreso il culto della legalità.Ma la schizofrenica ricerca di spazi vuoti di potere da occupare in concorrenza od oltre lo Stato di diritto o creandoseli non importa come, di profittare di ogni opportunità contro il retaggio di valori per principio condivisi ma scarsamente vissuti ne contamina l’essenza al punto da marginalizzare se non annullare ilcoacervo di valori etici e morali patrimonio di spessore di cui è appunto portatore.E’ questo spaccato sociale degradato che calca il proscenio della odierna vita di relazione e radicalizza il suo potere divenendo elemento di disturbo della ordinata convivenza sociale e marchio (bardatura!) ad uso e consumo altrui.La centuria, pur con l’anacronismo rimale e schemopoetico oltre che con i limiti che sono di tutta evidenza, è – pur tuttavia - un non velleitario auto-ironico tentativo provocatorio di sottolineare (investigandoli), con alcuni passaggi prettamente dicostume locale e di genere, alcuni aspetti di questa “indignatio” con l’ottica di chi vive appunto nella sacca socioeconomica - piaccia o meno – contrassegnata dal Parallelo 38 (Calabria e area del reggino in particolare). Attore e spettatore di eventi già di per sé estremi e disgreganti che qui, a cagione soprattutto della atavicadebolezza strutturale, trovano amplificazione e radicalizzazioneestrema.L’AUTORE