Nè un saggio nè un'inchiesta, il libro di Lapo Cecconi è piuttosto il tentativo avulso alle classificazioni compiuto da un trentenne che cerca di ricostruire discorsivamente i punti di riferimento della società contemporanea, partendo dalla consapevolezza che lo sviluppo materiale, sociale, culturale ed economico dei nostri giorni è un processo che non si dà mai completamente in una formula, ma va costruito attraverso interazioni, apporti e aggiustamenti quotidiani. Una mappa dunque, disegnata con un metodo rigorosamente dialettico, che serve in prima battuta all'orientamento del proprio autore e che è fornita agli altri con spirito dialogico e di confronto.Siamo noi. Siamo in tanti. Siamo la fascia alta dei morti di fame. Siamo i riservisti della generazione «mille euro». Non abbiamo l'articolo 18: quello che per essere licenziato devi almeno assassinare il tuo caporeparto, il tuo capoufficio, il tuo direttore. Non ci rappresenta nessuno. Ma noi sosteniamo il Pil, anche se il cannone è puntato nella nostra direzione. La sua altezza è zero, altezza d'uomo, e potrebbe sparare. La situazione ha i SECOLI contati. O forse no. La rotta di «La crisi ad altezza d'uomo» di Lapo Cecconi, 33enne imprenditore fiorentino, punta lì, verso quei pochi e pericolosi metri off-limits che ci sono fra il cannone e il bersaglio. Un punto di vista privilegiato da reporter di guerra per un viaggio (socio-economico) lucido, rigoroso e illuminante, dentro le statistiche, i numeri e le biografie di un Paese alla ricerca di innovazione. Quella con la I maiuscola: dei corpi intermedi, della mente, delle imprese, dei palazzi romani. Tutto per rispondere a una sola domanda: e adesso come ne usciamo?