Non parliamo dell’ultimo venuto, ma di una delle specie vegetali più antiche e importanti per il genere umano: il castagno. Senza di lui, senza il suo robusto legno adatto a costruire attrezzi e ripari e a scaldare il focolare nei freddi inverni, senza i suoi preziosi e gustosi frutti perfetti per produrre pane e polenta in infinite varianti, senza i suoi boschi che per millenni hanno protetto l’ambiente montano e i suoi abitanti dalla furia degli elementi e degli uomini, forse oggi non saremmo neppure qui. La cosiddetta “economia del castagno” è stata infatti alla base della vita nell’Appennino Tosco-Emiliano dal Medioevo all’inizio del secolo scorso. Ma più che un semplice mezzo di sussistenza, la castagna era un piccolo universo fatto di stagioni, di riti, di lavorazioni, di conoscenze tramandate di generazione in generazione. Attorno alla preziosa polpa chiara, dolce e nutriente, si raccoglieva un’intera comunità di mestieri, di saperi e di tradizioni. Poi qualcosa si è spezzato, nel rapporto tra l’uomo e questo straordinario gigante dei monti. I castagneti sono stati abbandonati, nuovi cibi e nuovi stili di vita hanno spazzato via la schietta umiltà delle mistocche e dei ciacci, dei necci e dei malfatti. Errare è umano, si sa, ma negli ultimi anni qualcosa si è riacceso sotto alle braci e una nuova auspicata stagione di amicizia tra l’uomo e i castagni – tra l’uomo e la sua terra – si sta inaugurando. In queste pagine vi presentiamo cinquanta tra coltivatori, mugnai, apicoltori, trasformatori e ristoratori della castagna e del marrone. Vi raccontiamo della rinascita di un’alleanza tra le popolazioni montane e questo grande e longevo albero dai prelibati frutti. Vi invitiamo quindi a visitare di persona questi straordinari “amici della castagna”. Ultima raccomandazione: non togliete, anzi… mettete le castagne sul fuoco: non ve ne pentirete.