L'alba dopo, lì dove tace l'albergo, sono i canti degli uccelli a riempire la morte. I colori del cielo scivolano sui tappetini di benvenuto, oltrepassano la soglia e si adagiano languidi sui corpi. Erano uomini ed erano donne e adesso è tardi per conoscerli; nelle profondità della morte hanno nascosto la loro identità, nel rigor dei corpi sul rigido pavimento c'è l'esilio di ogni perché. Primo giorno di primavera, questo risveglio dei sapori e della terra e del cielo; quando il sole se ne va dietro l'Albergo dei Tre Atti, e inizia a scendere dalle montagne, i corpi distesi già si trasformano in altro, richiamo per insetti e per qualche predatore che lascia il letargo. È un mormorio di vita, questo scorcio di morte; di cose che ci sono e che, quando smettono, cambiano aspetto. Benvenuti a Lavrange, paese esumato da un cimitero, da un matrimonio di morte, da un albergo di sopravvissuti all'epidemia; Lavrange che è agonia lungo il canto di una strega triste e a volte crudele.