Partendo dall'incontro fra l'ebreo di sinistra Jacob Taubes e il giurista Carl Schmitt, in questa seconda parte del percorso si pongono in questione le radici ebraico-cristiane della teologia politica occidentale. L'antisemitismo è sempre stato in contraddizione con il cristianesimo, che fin dall'inizio ha saputo tradurre la concezione teologico-politica ebraica in termini universali e davvero globali. Mentre la teologia ebraica e quella islamica hanno sempre fondato la politica nella legge rivelata, solo il cristianesimo è sorto dal superamento dell'antico legalismo. L'imperativo cristiano dell'amore del prossimo non è più limitato ad un solo popolo, come accadeva nell'antico Testamento, ma è divenuto per la prima volta universale. Perciò solo la teologia politica cristiana ha consentito di sganciare l'etica dalla morale, vale a dire l'atto dalla regola. Per il cristianesimo, la legge si è tradotta fin dal primo momento nell'imperativo davvero universale e sovra-statale della libertà etica ed individuale della scelta. Perciò Cristo - il Messia Figlio di Dio, re dei cieli, ma non sulla terra - è stato il primo laico, che ha fondato nella fratellanza universale il superamento etico della legge. Non a caso, nel giudizio finale, Cristo afferma che lui stesso - l'unico Giudice - non giudicherà nessuno, perché su ciascuno dei risorti ricadranno i suoi giudizi: si salveranno soltanto coloro che avranno seguito fedelmente il suo "non giudicate", mentre tutti gli altri saranno condannati per sempre alla "seconda morte" della perdizione. La prospettiva del giudizio, come si vede, non dipende più dalla legge, ma dalla scelta individuale di non applicarla.
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