Nel gennaio del 1921 nacque il Partito comunista italiano. E nel gennaio del 1991 morì. La sua vita è durata in tutto settant’anni. Uno dei primi a scriverne la storia è stato Giorgio Galli: la prima edizione di questa Storia del Pci risale al 1953 (riedita con aggiornamenti nel 1958 e nel 1976); l’ultima, al 1991, anno dell’estinzione del partito.
Grazie a un uso sapiente delle citazioni – la voce stessa dei protagonisti –, la monografia non ha perso il suo valore e il suo fascino, ai quali concorrono l’equilibrio dei giudizi e la felicità espositiva.
Se la storia del Pci è segnata dal fallimento, da occasioni mancate e da errori dei dirigenti, è al tempo stesso accompagnata dall'inizio alla fine da nobili aspirazioni.
«Quello che resta – scrive il grande politologo – della storia del Pci nella società italiana, anche in questi anni, al di là dei dirigenti, è il ricordo dei milioni di iscritti, delle centinaia di migliaia di militanti e di attivisti di più generazioni che nelle fabbriche, nelle cascine, nei sindacati, nelle amministrazioni locali, talvolta anche in Parlamento, si sono impegnati a ridurre il tasso di ingiustizia proprio della società capitalista, come di tutte le precedenti, e a migliorare le condizioni di vita dei lavoratori subordinati e delle loro famiglie».
Grazie a un uso sapiente delle citazioni – la voce stessa dei protagonisti –, la monografia non ha perso il suo valore e il suo fascino, ai quali concorrono l’equilibrio dei giudizi e la felicità espositiva.
Se la storia del Pci è segnata dal fallimento, da occasioni mancate e da errori dei dirigenti, è al tempo stesso accompagnata dall'inizio alla fine da nobili aspirazioni.
«Quello che resta – scrive il grande politologo – della storia del Pci nella società italiana, anche in questi anni, al di là dei dirigenti, è il ricordo dei milioni di iscritti, delle centinaia di migliaia di militanti e di attivisti di più generazioni che nelle fabbriche, nelle cascine, nei sindacati, nelle amministrazioni locali, talvolta anche in Parlamento, si sono impegnati a ridurre il tasso di ingiustizia proprio della società capitalista, come di tutte le precedenti, e a migliorare le condizioni di vita dei lavoratori subordinati e delle loro famiglie».