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In questo lavoro si è scelto di osservare, sotto un profilo etico-economico, una caratteristica propria dei Paesi a capitalismo maturo, attraverso lo snodo degli scandali internazionali legati al commercio degli armamenti, in un settore il cui livello di corruzione è necessariamente condizionato dal rapporto tra Stato e mercato. L’industria bellica, simbolo della grande impresa capitalistica, con l’uso delle tangenti, ha superato l’ostilità di un mercato monopsonistico, sfuggendo al livellamento dei margini di profitto della forte concorrenza grazie all’aiuto dello Stato, distorcendo le regole…mehr

Produktbeschreibung
In questo lavoro si è scelto di osservare, sotto un profilo etico-economico, una caratteristica propria dei Paesi a capitalismo maturo, attraverso lo snodo degli scandali internazionali legati al commercio degli armamenti, in un settore il cui livello di corruzione è necessariamente condizionato dal rapporto tra Stato e mercato. L’industria bellica, simbolo della grande impresa capitalistica, con l’uso delle tangenti, ha superato l’ostilità di un mercato monopsonistico, sfuggendo al livellamento dei margini di profitto della forte concorrenza grazie all’aiuto dello Stato, distorcendo le regole del libero mercato con la supremazia della propensione all’illecito, ed ottenendo quegli extra-profitti che in condizioni di equilibrio e trasparenza non avrebbe mai raggiunto. Il continuo aumento della spesa militare da parte degli Stati, a dispetto dell’agenda di austerità, ha portato, poi, insieme al boom di utili per l’industria della “Difesa”, una spinta sempre più aggressiva alle più proficue strategie di vendita in mercati concorrenziali caratterizzati da alta competitività e corruzione diffusa in cui procacciatori e faccendieri dai profili più disparati, in cambio di una ricca percentuale, facilitano il business individuando le scorciatoie e concludendo contratti miliardari.Scopo del presente studio è individuare il panorama nel quale l’impatto deviante delle prassi corruttive del settore, sedimentate e consolidate a livello globale, riesce ad imporre quella relativizzazione culturale dei suoi comportamenti tale da determinare una preoccupante instabilità del ruolo della norma, nella morale condivisa, ed agevolarne la loro tolleranza. Con equilibrio critico sia nei confronti di un cieco moralismo che non tenga conto delle leggi economiche, che dell’idea che non possa esistere un’economia separata dal contesto storico e sociale in cui sono inseriti i suoi processi.L’analisi dei casi sull’industria di Stato italiana, da sempre piegata ai disegni antieconomici della politica “di parte” che l’ha considerata un’inesauribile serbatoio da cui poter attingere costantemente e con facilità risorse finanziarie per la conquista ed il mantenimento di posizioni di potere nella società e nell’economia, mostra successivamente come, nella storia di questo Paese, troppo spesso le istituzioni siano state, per complesse ragioni storiche, geopolitiche, culturali e sociali, complici silenziose o protagoniste attive del malaffare; nonché come, le scelte sbagliate compiute dai vertici di grandi gruppi industriali come quello di Leonardo, frutto di quel pernicioso intreccio tra politici, militari e capitalisti industriali da sempre dominante, incidono pesantemente non solo su tutti coloro che ci lavorano, ma sulle prospettive di progresso e benessere della società intera e sul futuro del Paese di cui fanno parte