All’inizio ci sono Michela e Federico. Michela, egocentrica presenza che tutto divora, catalizzatrice di richieste di coerenza e sottomissione alle convenzioni e al perbenismo di un mondo mai attento alla sostanza dell’essere. Corpo-prigione che soffoca e annienta Federico, guerriero inconsapevole che si ritrova ben presto a fare i conti con quella che capirà essere, dopo anni di indicibile sofferenza, una disforia di genere. Il contesto storico e sociale e, soprattutto, una famiglia del sud vittima di condizionamenti religiosi esasperati e fuorvianti, portano Federico a percepirsi prima come essere sempre inadeguato, poi, soprattutto nel confronto dialettico con il mondo cattolico in cui è immerso, come giovane immorale e pervertito. Vivrà come un acrobata sul filo dell’esistenza, prima di rinascere con una sentenza di un tribunale. L’autore ci dona una biografia che non vuole condividere solo un’esperienza personale ma offrire altresì uno spaccato di vita di chi ha vissuto un percorso di transizione di genere negli anni Settanta. Offre spunti di riflessione per meglio comprendere l’oggi, nella consapevolezza che solo la costanza e la perseveranza del dialogo e del confronto sociale generano la cultura del rispetto dei diritti di tutti gli esseri umani