Definire con precisione i contorni del movimento modernista in Italia presenta ardue difficoltà, per la sua complessità intrinseca e per le molteplici interpretazioni che, nel corso degli anni, ne sono state date. Sorto negli ultimi decenni del XIX secolo e vivace nei primi anni del XX, il modernismo fu un movimento riformatore o, più precisamente, innovatore, che si propose di conciliare le novità del pensiero moderno, dalla filosofia alla scienza, fino alla critica positiva, con la religione cristiana. Il modernismo si diffuse in diverse nazioni; in Francia furono esponenti di spicco Alfred Loisy (1857-1940) e Lucien Laberthonnière (1860-1932), in Inghilterra George Tyrrel (1861-1909). Questi pensatori influirono sui fermenti innovatori che, sotto vari aspetti, andavano via via acquisendo consapevolezza anche in Italia: ma già a partire dalla fine dell’Ottocento alcune figure di rilievo, come Romolo Murri, avevano affrontato questioni importanti, se pur spinose, come il ruolo del laicato nella Chiesa e la partecipazione dei cattolici alla vita politica. In effetti occorre tener presente che il modernismo assunse connotazioni diverse nei vari paesi: se è vero che tra le istanze principali vi furono l’applicazione ai testi sacri dell’analisi filologica e un approccio alla teologia ispirato alle filosofie coeve, come l’irrazionalismo e l’idealismo, in Italia si distinse in particolar modo «per i suoi toni vivaci, per la larga fioritura di iniziative e di scritti, soprattutto per lo sforzo di superare i confini strettamente scientifici, entro i quali era sorto all’estero, e raggiungere zone più ampie del mondo cattolico».