In queste poesie c’è, in filigrana, la sofferenza dei “senza-radici”, quella di coloro che, avendo lasciato la terra d’origine, devono comporre il racconto della propria vita, non per mostrarlo agli altri, ma a se stessi. È un colloquio dell’anima con l’anima mentre dipana un filo lungo come tutto il cammino e l’unica cosa da fare per fermarlo è appendervi stoffe colorate (“dondola la biancheria stesa/bandiere multicolori nell’ultima luce”),stese al vento come preghiere tibetane: che trovino loro la via, se ne sono capaci.