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Ombre cantate, quasi carezze poetiche, quelle di Viglialoro.Uno spaccato di vissuto dove emergono spunti argomentativi di fine liricità. A volte caustiche sottolineature, altre volte dolenti coloriture di gesti e di movenze evolventi in profili psicologici di robusto portato e significazione.L’uso del verso libero, un mezzo non usuale per la poetica vernacola, appare acconciamente musicale e armonico al dire che non subisce il contraccolpo di un innovativo linguaggio che risulta invece espressivamente coerente e forbito, arricchito di un apprezzabile contributo linguistico in nota che risulta…mehr

Produktbeschreibung
Ombre cantate, quasi carezze poetiche, quelle di Viglialoro.Uno spaccato di vissuto dove emergono spunti argomentativi di fine liricità. A volte caustiche sottolineature, altre volte dolenti coloriture di gesti e di movenze evolventi in profili psicologici di robusto portato e significazione.L’uso del verso libero, un mezzo non usuale per la poetica vernacola, appare acconciamente musicale e armonico al dire che non subisce il contraccolpo di un innovativo linguaggio che risulta invece espressivamente coerente e forbito, arricchito di un apprezzabile contributo linguistico in nota che risulta un corredo di utile glossa.L’universo osservato, comprendente metafore e allegorie di gustoso taglio critico, sostanzia un itinerario sofferto cavalcando a volte consolidate convinzioni e comportamenti, a volte distaccandosene per circoscrivere valori fondanti sempre presenti e scontati ma esposti secondo Viglialoro alla continua aggressione del quotidiano fatto di disimpegni, ammiccamenti a volte correi, ignavie inaggettivate, oziose attese di nuove albe dopo il buio tormentato delle notti calabre segnate da catene strusciate e da lacrimate attese.Ombre vede Viglialoro e le canta; con voce credibile e gradevolezza di approccio. Verità vissute e attinzioni all’immaginario collettivo fatto di diafanità e di svicolii.Ombre come asperità comportamentali contaminanti il normale vivere i rapporti, la propria condizione, la realtà degradata e retrograda destinata ad inseguire miracoli, esposta ai venti turbinosi del malaffare, intrisa di sopravvivenze marginali e di tempo che incede indifferente alle carni straziate, al gelo di povertà di cui pure il cielo sembra tollerarne l’asprezza.Ombre come metafora dell’assenza, della inanità autolesionista, del vivere a traino, dell’acquiescenza piagnona.Ombre come corsa all’arranco, umbri nta la memoria ‘n cerca di artari e ‘ncenzu, nei sogni, nelle speranze. Dubbi che materializzano ombre, muri su cui si strusciano ombre furtive (mura struduti d’umbri), vita che diventa ombra summa di ombre, le stesse radici ne risultano contaminate se non inseminate di azione virtuosa, il divenire fatto di stagiuni sicchi, …di umbri chi si ammùrranu, di ombre dannate che scivolano ntra l’alivari jimbusi.Passi e vagghi d’umbra a tramontana caratterizzano percorsi segnati e Viglialoro ne preconizza l’incedere con una dolente sottolineatura condita con una robusta dose di pessimistica tristezza.Ma anche se l’umbri restanu e crìscinu, se la notte l’uomo comparsa è reso ombra, invita a rivivere, non solo nel sogno, l’antichi sapuri e lu sanu sentiri e la gioia di infantili trastulli (‘na cometa di carta di pasta di saccu), inseguendo speranzose aperture (li speranzi vestinu li stidhi).I segni della vita che continua e la speranza meno vana è condensata in un mirabile segno lirico costituito da porte che ammùstranu hiannacchi e nastri culurati e non sempi su’ di luttu, di vattisimi e…cumpetti…di strati menu mpisi e befanì d’amuri.La spiritualità di un animo sensibile e compartecipe di una realtà anche culturale condivisa impregna la silloge di spunti di elevato spessore e canto.La chiusa della silloge gronda amore e letizia per una meta non proibitiva (la nchianata è dura ma lu premiu è tantu atu chi lu sensu pocu sapi mu lu ‘ntendi).E’ il credente che concretizza la sofferenza nell’aspirazione di arbi chi hiùrinu di luci/arcani melodìji e culuri/ arcobaleni e ‘mmensi luntananzi.L’infinito dell’anima credente. L’approdo senza ritorno.Lirismo puro.Emilio Argiroffi