Un buon sapore di morte è, a partire dallo splendido titolo, un magistrale esempio di docudramma dove la finzione appare tanto reale quanto la cronaca di un telegiornale qualsiasi. Nell'Italietta di malaffare, dove la corruzione è sempre dietro l'angolo, il paese è il cuore pulsante di ogni scandalo borghese: tutti sanno tutto di tutti, ma nessuno, nell'ipocrisia generale, ha il coraggio di proferire mezza parola. La parola d'ordine è «verità». C'è chi la cerca e chi la nasconde. Il romanzo ricorda, sotto tanti aspetti, il cinema d'impegno civile italiano degli anni settanta, quello dei Rosi, dei Petri e dei Vancini. In un certo senso si può tirare in ballo Sciascia. E' tutto documentato, preciso, cristallino. Sotto il sole del centro Italia un inghippo di quelli che fanno tremare i flaccidi lacchè in poltrona. Brucia come una grattugia sulla pelle nuda.
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