Leo Porro parte, come sempre, da uno spunto narrativo per le sue riflessioni: stavolta il “racconto” è affidato ad una giovane “vittima della droga”, che ci parla dall'al di là e, con tono pacato e addirittura sereno, ripercorre la sua esperienza terrena, i suoi problemi esistenziali, le sue preoccupazioni per un mondo che certi fenomeni rendono estraneo ed ostile a tante giovani vite. Come sempre, poi, in Porro prevale l'istinto pedagogicodidattico ed allora il giovane Andrea diventa Porro (o viceversa): precise informazioni e puntuali riflessioni sul fenomeno“tossicodipendenza”, in tutti i suoi aspetti, danno spessore e profondità a questo “racconto” (basta scorrere l'indice per capirne la ricchezza), che contiene anche opportuni suggerimenti per un percorso veramente formativo. Certo, non basta un discorso pertinente e competente (ed a volte anche suggestivo) per cambiare la realtà. Si potrebbe però qui ricordare quanto una volta ebbe a dire il coltissimo scrittore argentino Jorge L. Borges: “Molti si vantano d'aver scritto buoni libri. Io posso vantarmi d'aver letto buoni libri.” Ecco, dopo aver letto questo testo di Porro, molti potranno dire: ”Ho letto un buon libro, ho letto un libro utile.”