Vienna, 1809. Mentre Napoleone ha occupato la capitale e si appresta a metter fine alle ostilità siglando la pace di Schönbrunn, un suo funzionario appassionato di musica, Louis Philippe Joseph Girod de Vienney, bussa alla porta di Beethoven. A Parigi ha chiesto lettere di presentazione ai musicisti più in vista della città. Come viatico ha in tasca una lettera del compositore Antonín Reicha. Vienney parla poco il tedesco e sa che Beethoven ha fama d’essere inavvicinabile per il suo carattere burbero e umorale. Il compositore invece lo fa entrare. «Mi aspettavo che, dopo aver letto la lettera, mi congedasse e che la nostra conoscenza finisse lì. Avevo visto l’orso nella sua gabbia, era più di quanto potessi mai sperare», scrive Vienney. È l’uomo giusto al momento giusto. Beethoven è incuriosito dal giovane francese e ben disposto verso di lui. In seguito i due s’incontrarono più volte, progettando anche un viaggio in Francia, mai realizzato. Vienney, poi divenuto barone di Trémont, lascia fra le sue carte questo vivido resoconto di quei fatidici giorni.