Terza silloge di Lucilla Chiaradia, che in questa sorprendente prova letteraria rielabora la sua personale ricerca di dare un senso alla vita e alle esperienze vissute.
Il titolo, Voce minore. Brevi lamenti, indica non solo la scelta di svelare senza ipocrisia le inquietudini finora tenute segrete, ma, e ancor più, ne sintetizza il pensiero, puntualizzando che non leggeremo liriche lunghe e complesse, ma piuttosto lampi di pensieri capaci di catturarci in una tela sottile di accostamenti a volte strani o surreali, ai limiti del paradosso, più spesso essenziali.
Così tra invenzioni linguistiche, fuggevole ironia e umorismo sottile, i versi danzano fluenti nei meandri del nonsense o dell’aforisma, al riparo dal miraggio di qualsiasi verità oggettiva e universale e alla ricerca dell’intimo significato dell’esistenza.
La poesia allora, spoglia delle regole sintattiche e, priva di metrica, rima e figure retoriche, strizza l’occhio al lettore, chiedendogli di non fermarsi all’apparenza, ma capire fino in fondo il mistero delle cose. Abbandonati i pesanti apparati formali, anche le immagini si rincorrono e, forti della loro autenticità, chiedono una risposta vera e immediata.
Ne deriva una felice sperimentazione di varie forme di scrittura e il raggiungimento di una sintesi perfetta, capace di riassumere in sé emozioni, riflessioni e soprattutto una propria visione della vita.
Il titolo, Voce minore. Brevi lamenti, indica non solo la scelta di svelare senza ipocrisia le inquietudini finora tenute segrete, ma, e ancor più, ne sintetizza il pensiero, puntualizzando che non leggeremo liriche lunghe e complesse, ma piuttosto lampi di pensieri capaci di catturarci in una tela sottile di accostamenti a volte strani o surreali, ai limiti del paradosso, più spesso essenziali.
Così tra invenzioni linguistiche, fuggevole ironia e umorismo sottile, i versi danzano fluenti nei meandri del nonsense o dell’aforisma, al riparo dal miraggio di qualsiasi verità oggettiva e universale e alla ricerca dell’intimo significato dell’esistenza.
La poesia allora, spoglia delle regole sintattiche e, priva di metrica, rima e figure retoriche, strizza l’occhio al lettore, chiedendogli di non fermarsi all’apparenza, ma capire fino in fondo il mistero delle cose. Abbandonati i pesanti apparati formali, anche le immagini si rincorrono e, forti della loro autenticità, chiedono una risposta vera e immediata.
Ne deriva una felice sperimentazione di varie forme di scrittura e il raggiungimento di una sintesi perfetta, capace di riassumere in sé emozioni, riflessioni e soprattutto una propria visione della vita.