Elegante silloge di esordio, destrutturata nei tempi di scrittura e ricomposta sul filo di un diario anomalo in cui non è il riferimento temporale l'elemento essenziale quanto piuttosto il sentire pulsante nel momento della rilettura. Un caleidoscopico groviglio esistenziale che dipana fili e voci. Il filo della femminilità. La ricerca, il senso e l'espressione dell'essere donna. Lucilla Chiaradia canta il suo corpo, la sua carne e i suoi umori. Canta il suo corpo, le sue ferite e le sue cicatrici. Questa è la voce, spesso dimenticata, di un corpo che respira, che piange, che sanguina, che grida, che gioisce, che gode. Un corpo che vive. Il filo della maternità. La terra fertile, i semi, i frutti e il mistero della trasformazione. Cui si accompagnano ricordi, domande, paure. Il filo della natura. L'ascolto, l'osservazione, la ricerca di quiete. La pace che in essa, sempre, è necessario cercare e, a volte, possibile trovare. L'amore che in essa si esprime e, ancora una volta, si cerca. Il filo della religione. Ciò che la lega al passato, alla sua storia, alle sue radici. E ancora domande e ricerca, la ricerca di Dio. La solitudine, la notte, il buio, la luna, le lacrime. Il rapporto con l'Altro. Sono tutte legate le voci. In ognuna la Poetessa canta la propria voce più segreta, più intima.
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